I moderni coloranti per i tessuti si possono dividere in:
• Coloranti diretti
• Coloranti al mordente
• Coloranti al tino
• Coloranti dispersi
• Colorati reattivi
Questa classificazione, detta tecnica, differisce da quella propriamente chimica, che invece classifica i coloranti in base al tipo di molecole presenti.
I coloranti diretti sono sostanze polari, che cioè si sciolgono in acqua ed interagiscono con le fibre del tessuto, soprattutto cotone, in virtù di attrazioni di tipo elettrico, che i fisici chiamano interazione dipolo-dipolo. A quel punto si legano al tessuto con una forza non molto grande.
Fra questi possiamo ricordare il “giallo marzio” (vedi figura), un colorante che viene prodotto a partire dal naftalene (la comune naftalina) dopo un po’ di reazioni chimiche che servono ad aggiungere alla struttura base (due esagoni formati da atomi di carbonio e idrogeno) dei gruppi azotati che sono la scelta migliore per dare colore alle molecole incolori (la naftalina, infatti, non ha alcun colore!).
I coloranti al mordente, invece, funzionano in maniera molto differente. Essi non riescono ad attaccarsi direttamente alle fibre tessili e necessitano di un “aiuto”, nel senso che si usano altre sostanze, i cosiddetti mordenti, che si legano al tessuto da una parte e ai coloranti dall’altra.
Fra i coloranti al mordente possiamo ricordare il “giallo alizarina” (anch'esso in figura) che si lega al cotone attraverso l’”aiuto” di una molecola di idrossido di cromo trivalente. Il cromo è un metallo pesante e abbastanza costoso, che ha molti composti tossici.
Ha la facoltà di attaccarsi molto stabilmente non solo alle fibre tessili ma anche alle fibre animali, tanto che i mordenti al cromo erano un tempo utilizzatissimi nella concia delle pelli, causando però spaventosi inquinamenti alle acque usate per questo tipo di industria.
Anche il giallo alizarina è una molecola organica formata dall’unione di vari anelli benzenici di cui quello centrale è ossidato, ma mentre il naftalene è formato da due anelli benzenici, il giallo alizarina ha la struttura base formata da tre anelli benzenici uniti fra di loro.
I coloranti “al tino” sono invece insolubili in acqua nella quale vengono dispersi sotto forma di sospensione. Quindi vengono sottoposti a una reazione chimica, detta di riduzione, che ha due effetti: da una parte li rende incolori (e questo sarebbe un guaio) e dall’altra li fa attaccare al tessuto.
Quindi, con un’altra reazione detta di ossidazione, che in pratica consiste nell’aerazione della tinozza in cui ci sono il colorante e il tessuto da colorare, si fa riapparire il colore, ma stavolta ben legato al tessuto.
Il più famoso dei coloranti al tino è l’indaco (che, come fa sospettare il nome, fu scoperto in India), di un bellissimo colore azzurro che si scioglie in acqua assieme al tessuto, cui però non aderisce. Si aggiunge bisolfito di sodio (oggi si usa anche idrogeno su catalizzatore al nichel) in modo da scolorirlo ma farlo attaccare al cotone. Infine si ossigena per bene la tinozza e il colorante torna azzurro e ormai attaccato alle fibre di cotone. Quando non si conoscevano le ragioni chimiche alla base dei processi, queste operazioni, con l’apparire e scomparire del colorante, potevano davvero sembrare trucchi da mago.
La loro complessità (oggi diremmo la custodia del know how) permise per molto tempo di mantenere questi passaggi segreti e quindi al riparo del rischio (economico) dell’esportazione e della riproduzione da parte di altri.
L’India tenne per molto tempo l’esclusiva di questa tecnologia e questo fu uno dei motivi per cui gli abiti azzurri, almeno in Europa, erano così costosi e rari.
I coloranti dispersi non si sciolgono in acqua dove formano delle sospensioni colloidali da cui poi le molecole di colorante si depositano sulle fibre. Sono usati soprattutto con fibre polimeriche artificiali o sintetiche.
I coloranti reattivi sono quelli che reagiscono direttamente e chimicamente con gli atomi che costituiscono la fibra, formando dei legami molto forti e stabili.
Fra questi possiamo ricordare il metilarancio (vedi figura).
Fra i coloranti… incolori, ma usatissimi e molto apprezzati dai consumatori almeno stando alle loro scelte (spesso inconsapevoli), ci sono gli azzurranti ottici, che si usano anche nell’industria della carta o, per esempio, dei dentifrici.
Queste sostanze si fissano sulle fibre tessili esattamente come i comuni coloranti, cui assomigliano anche come struttura chimica, ma non li colorano.
Ma allora a cosa servono? Queste sostanze assorbono i raggi ultravioletti della luce solare. Questa è la ragione per la quale nelle pubblicità si mostrano questi bianchi “che più banchi non si può” sempre all’aperto e alla luce del sole (la famosa “prova finestra”). All’interno, alla luce artificiale, in genere ci sono pochissimi raggi ultravioletti e così gli azzurranti ottici non funzionano!
Il funzionamento degli azzurranti ottici si basa sul fenomeno per cui essi, dopo aver assorbito la luce ultravioletta, ne riemettono un po’ sotto forma di luce debolmente azzurrina che annulla o almeno corregge il riflesso leggermente giallino tipico del cotone naturale, dando la sensazione di un bianco meno intenso ma più piacevole.
Sono dei coloranti strani, una specie di trucco da mago ma, insomma, il loro lavoro lo fanno egregiamente. In questa carrellata abbiamo visto soltanto alcune delle migliaia di molecole che si usano industrialmente per colorare i tessuti.
In generale i coloranti hanno strutture complesse, con molti doppi legami, gruppi benzenici semplici o doppi o tripli o quadrupli e così via e gruppi con azoto e zolfo. Molti coloranti contengono iodio o bromo e quelli al mordente, come abbiamo visto, hanno attaccati metalli polivalenti come il cromo, capaci di legare il colorante al tessuto.
Nel prossimo post parleremo dicoloranti e inquinamento, sia chimico ambientale che energetico.