Per avere i moderni coloranti è stato necessario aspettare fino a metà dell’ottocento, quando si affermò la moderna chimica organica.
Un chimico tedesco il cui nome ci è familiare ancora oggi, un certo Wilhelm Adolf von Bayer, si mise a studiare scientificamente l’indaco, definendone con cura la formula e le proprietà chimiche.
Attorno al 1880 mise a punto un processo di laboratorio per produrlo in maniera sintetica e non più dalla pianta dell’indaco.
Dovettero tuttavia passare quasi altri vent’anni prima che fosse messo a punto un processo industriale conveniente per produrlo in grande scala e così quasi sul finire del secolo l’industria tedesca Badische Anilin und Soda (BASF) riuscì a mettere in commercio il nuovo colorante azzurro per tessuti.
Per i tedeschi fu un enorme successo ma per centinaia di migliaia di lavoratori, soprattutto nel terzo mondo ed in India in particolare, che sopravvivevano con l’antico processo che partiva dall’Indigofera Tinctoria, fu una tragedia: persero commesse e quindi lavoro e intere regioni furono ridotte sul lastrico, dopo millenni di attività tintoria e di tonnellate di tessuti colorati esportati in tutto il mondo.
Ma in realtà il colorante, sia quello sintetico che il precedente di origine vegetale, non erano particolarmente stabili, insomma stingevano facilmente.
Tanto che, appena divenne poco costoso con il passaggio alla produzione industriale, esso fu utilizzati per capi di scarso valore, pantaloni per tute… quelli che sarebbero diventati i famosi Blu Jeans. E la cosa buffa è che proprio il fatto che il colore stinga facilmente ne decreta l’attuale successo fra i giovani che preferiscono indossare pantaloni che danno l’impressione sin da subito di essere vecchi e stinti.
L’industria cercò di riprodurre anche l’antico rosso porpora, che come abbiamo visto aveva una composizione assai simile e ci riuscì facilmente ma altri coloranti di sintesi rossi ebbero maggior successo.
Attorno alla metà dell’ottocento un altro chimico, stavolta inglese, tale William Henry Perkin stava cercando di sintetizzare, partendo dal catrame del carbon fossile, la chinina, la molecola che all’epoca curava la malaria.
Era una molecola richiestissima, perché in quel periodo i grandi imperi inglese, tedesco, belga, olandese, francese andavano alla conquista di territori nei quali la malaria imperversava. La chinina costava molto perché dalla pianta del chinino (una corteccia di un albero che cresce sulle Ande), se ne producevano assai scarse quantità.
Perkin aveva quindi le sue buone ragioni per cercare di fare la stessa molecola a partire da un composto che costava pochissimo e di cui in Gran Bretagna c’era abbondanza: il carbone.
Durante i suoi studi produsse una sostanza nerastra che però, sciogliendosi in alcool etilico, dava una bella colorazione violetta. Il chimico provò a metterci dentro delle striscioline di seta e notò che queste si coloravano immediatamente, acquisendo un bellissimo color malva. La cosa interessante, da un punto di vista commerciale, era che il colore non sbiadiva alla luce, cosa invece assai frequente con i coloranti naturali.
Perkin brevettò la sua scoperta, aprì una fabbrica, studiò le tecniche industriali di colorazione per cotone, lana e seta e dopo un po’ il suo nuovo colorante di sintesi aveva conquistato i mercati mondiali.
A favorirne il successo commerciale contribuì non poco il fatto che la Regina Vittoria si presentò al matrimonio della figlia con un abito violaa tinto con il nuovo colorante di Perkin.
Il viola era così diventato il colore di quegli anni (fra il ’60 e l’80 dell’ottocento) e persino i francobolli inglesi venivano colorati con la molecola di Perkin.
Dalla mauveina, così Perkin chiamò il suo colorante violetto, si passò a tutta la serie di coloranti di sintesi moderni.
Un aspetto molto interessante della faccenda fu che questo non avvenne non in Inghilterra, dove Perkin aveva brevettato il suo primo colorante sintetico, né in Francia, l’altra grande potenza dell’epoca ma in Germania, dove però la collaborazione fra Università ed Industria era, al contrario che nel resto del mondo, assai stretta.
In quegli anni, sulla scia del successo dei primi coloranti, nacque in Germania la Hoechst, un anno dopo la BASF.
Queste industrie produssero i primi coloranti rossi, gialli, violetti, azzurri che formarono la progenie degli attuali coloranti di sintesi per l’industria tessile.
E poiché l’industria dei coloranti sintetici usa molecole che, con qualche modifica, possono essere utilizzate anche in altri campi, come quello degli esplosivi, dei farmaci o dell'industria fotografica, ecco che la potenza industriale ed economica tedesca di fine ottocento, che si estese accrescendosi nel novecento e fino ai nostri giorni, in fondo nacque dall’intuizione di alcuni industriali che i soldi si facevano collaborando con le Università e i centri di ricerca, insomma facendo, promuovendo e finanziando la ricerca scientifica.
Forse ancora oggi in Italia dovremmo farci qualche ragionamento sopra!