Si hanno pochissimi dati storici sulle operazioni tintorie degli antichi perché questa tecnica dava origine a commerci di enorme importanza economica e quindi il relativo Know How, come diremmo oggi, era custodito come segreto di Stato da molti popoli.
Tuttavia qualcosa si sa e poi, in base alle nostre attuali conoscenze scientifiche, riusciamo a ricostruirli con relativa precisione.
La prima parte del processo tintorio è l’ottenimento del colorante. In genere bastava fare dei decotti in acqua calda ma a volte servivano sostanze acide, come per esempio quelle ricavate da alcune piante di cetrioli che davano decotti acidi abbastanza da estrarre più facilmente le sostanze coloranti dalle matrici vegetali o animali (come insetti) di cui abbiamo parlato. L’altro processo fondamentale di questa arte o industria tintoria è sicuramente il fissaggio della tinta sulle fibre tessili.
Non tutti i coloranti necessitano di questo passaggio, l’indaco, per esempio ne è immune, ma la maggior parte dei coloranti va fissata altrimenti al primo lavaggio spariscono risciogliendosi nell’acqua.
Per fissare i coloranti servono sostanze note come mordenti. I materiali più utilizzati a tale scopo erano sali di metalli come il ferro, l’alluminio, alcune terre e materiali organici.
Il processo di mordenzatura modificava anche il colore finale così che spesso per ottenere varie gradazioni dello stesso colore si agiva su questa seconda fase del processo tintorio, variando i mordenti o modificandone la quantità.
Per esempio per ottenere il colore rosso dalla robbia si utilizzava come mordente l’allume mentre se si mordenzava lo stesso bagno tintorio con sali di ferro o di rame si otteneva un colore nero cupo.
Ogni casa tintoria aveva i suoi segreti commerciali.
La tintura con l’indaco era la più complessa. Per prima cosa occorre far fermentare le parti vegetali della pianta. Durante questo processo il glicoside colorante si scinde in glucosio e indossile.
La cosa buffa è che in questo modo la soluzione è incolore o quasi. Per facilitare la reazione di dissoluzione occorre aggiungere sostanze alcaline. Si usava acqua di calce ma anche ammoniaca. Il problema era che anticamente l’ammoniaca non era conosciuta come tale e così si usavano sostanze naturali che con il tempo producevano ammoniaca. Quella a più buon mercato era l’urina. Quindi si aggiungeva urina ai tini di fermentazione dell’indaco.
Questo operazione è confermata da un papiro del 2000 a.C. che descrive quale triste destino toccasse al tintore rispetto allo scriba: “le sue mani puzzano di pesce guasto ed egli alla fine aborre anche la vista di qualsiasi tessuto colorato”.
L’urina era quindi una materia prima utilizzata in grandi quantità nell’industria tintoria. Per ricavarla in maniera economica ed in discrete quantità l’Imperatore Vespasiano fece sistemare un gran numero di orinatoi in tutta la città di Roma, che allora contava parecchi abitanti ed era la più grande del mondo. L’urina dei passanti si raccoglieva in appositi recipienti. Quindi veniva raccolta ed inviata agli opifici dei tintori. Quando si rinfacciò all’imperatore che tutta l’operazione era disgustosa e che la puzza di urina girava per tutta Roma, l’Imperatore, tenendo presente il valore commerciale della tintura dei tessuti, rispose non la famosa frase “Pecunia non olet”, ovvero, traducendo liberamente “sì è vero però i soldi fatti con l’urina non puzzano!). Ancora oggi a Roma gli orinatoi pubblici si chiamano “vespasiani”.
Una volta fermentato, l’indaco è incolore. A questo punto si immergono i tessuti da colorare e si aspetta, esponendo i tini all’aria. L’aria facilita l’ossidazione e la formazione dell’indaco stavolta però direttamente sui tessuti sui quali così si fissa da solo, senza necessità di mordenti. E fissandosi diventa blu: il gioco è fatto!
La lana veniva prima tinta con l’indaco e poi ritinta con altri coloranti rossi come la robbia per ottenerne tinte purpuree di varia tonalità, molto apprezzate a Roma. Con questo sistema si ottenevano risultati tintori assai simili a quelli ottenuti con la più costosa porpora destinata agli imperatori.