I più antichi materiali tessili ottenuti con la lana, il lino ed il cotone non erano colorati e mantenevano quindi i colori naturali delle fibre, che andavano dal bianco sporco al marroncino.
Le prime tinte tessili furono le erbe e i composti vegetali, che davano ai tessuti trattati colorazioni fra il verde e il giallino, a volte, se si usavano foglie secche, radici o cortecce, marroncine e rossastre.
Ma il vero problema tecnico che i nostri antichissimi antenati dovettero risolvere per colorare i tessuti non era tanto la scoperta dei coloranti, che essi trovavano in natura, quanto quello di far resistere il colore sui tessuti.
Infatti il vero problema della tintura dei materiali tessili è che il colore, se applicato per semplice immersione del tessuto negli infusi di erbe o fiori, si colora molto leggermente e soprattutto in maniera non resistente a successivi lavaggi. Le tinte vanno cioè fissate sui tessuti.
Oggi si conoscono i processi chimici alla base del fissaggio dei coloranti ma anticamente le tecniche di fissaggio, scoperte per caso, erano custodite, come tutto il Know How dell’arte tintoria, in assoluto segreto perché fornivano la ragione di lucrosi commerci.
L’industria antica della tintura dei tessuti era un’arte complessa, segreta e… maleodorante, vosto che si usavano ingredienti animali che andavano a male o addirittura urina. Ma era di certo un’industria importante sia da un punto di vista economico che culturale.
In questo post daremo una prima occhiata a queste tecniche antiche e ai coloranti a disposizione un tempo. Con una importantissima premessa: che mentre oggi abiti e tessuti in genere colorati sono alla portata di tutti, per millenni i tessuti colorati furono appannaggio soltanto delle classi più ricche, i poveri e cioè la stragrande maggioranza della popolazione, indossava abiti con colorazioni naturali e cioè bianco sporco o giallino o marroncino. I sai dei monaci e dei frati medievali ci può dare un’idea di quale fosse il colore medio di una folla antica. Gli abiti colorati, soprattutto in rosso e ancor di più in azzurro, ma anche in verde brillante o in giallo o oro esistevano ma erano qualcosa di raro e costosissimo, che veniva tramandato di generazione in generazione, come si fa con i gioielli.
Coloranti gialli
Gli antichi conoscevano parecchi coloranti gialli: fra essi i più importanti erano lo zafferano, il cartamo e la curcuma, tutti e tre di origine vegetale. Oggi queste sostanze sono ancora usate per colorare, ma non più i tessuti quanto la roba che mangiamo. Chi non conosce un buon risotto alla milanese, colorato con un po’ di zafferano?
Lo zafferano è un colorante le cui tonalità, a secondo della concentrazione, variano dall’arancione carico al giallo. Esso viene ricavato dagli stimmi essiccati dei fiori della pianta Crocus Sativus. Un tempo era prodotto in Siria, a Creta, in Egitto e in Cilicia. I Fenici erano grandi produttori e commercianti di tessuti tinti allo zafferano.
Il cartamo, detto ancora oggi “zafferanone”, è un colorante anch’esso giallo, estratto dai fiori della pianta Carthamus Tinctorius. Dalla pianta e specificatamente dai semi si ricava anche un olio alimentare. Semi di cartamo sono stati rinvenuti in antiche tombe egizie del 2000 a.C. Alcuni lenzuoli gialli di lino che avvolgono le mummie di faraoni furono tinte con il cartamo.
La curcuma veniva invece ricavata dalla radice di una pianta, la Curcuma Longa che cresceva spontanea in Arabia meridionale, Libia e Mesopotamia.
Esistevano anche altri coloranti gialli, come alcune prodotti ricchi di tannino ed usati per la concia della pelle come il sommacco, ma un buon colorante vegetale giallo veniva estratto dalla buccia delle melograne dopo macinazione in acqua.
Coloranti rossi
Rosso carminio
Il più comune colorante rosso dell’antichità era quello oggi conosciuto come cocciniglia o rosso carminio.
Esso veniva ricavato da un insetto chiamato Kermes, che cresceva su querce dette appunto querce di Kermes (Quercus Coccifera) e su alcune erbe della vallata del monte Ararat.
Occorreva raccogliere, essiccare e schiacciare i poveri insetti e smerciare il prodotto in grani o in mattonelle pressate. Il colorante è un olio che l’insetto secerne per difendersi dai predatori.
Per produrre un chilo di colorante occorrono circa 100 mila insetti.
Alcuni Sali di alluminio dell’acido carminico, proveniente dagli insetti, viene ancora oggi utilizzato come colorante alimentare. Se trovate la sigla E120 su una confezione di un alimento colorato in rosso, sappiate che state mangiando proprio questa roba. È ovviamente innocua ma in alcuni casi può dare allergie.
Per il suo costo ancora oggi elevatissimo, oggi si preferiscono coloranti alimentari gialli di sintesi, come l’E122, l’E124 o l’E132.
Rosso di Kermes
La quercia del Kermes fu introdotta in Assiria verso il 1100 a.C. proprio per ricavarne il prezioso colorante rosso.
Il rosso scarlatto, che occupava un posto importante nelle cerimonie religiose giudaiche, probabilmente era ottenuto da una particolare sottospecie di questa cocciniglia.
Un altro colorante per stoffe di colore rosso, ma di qualità più scadente e quindi forse destinato alla borghesia del tempo era in uso nell’antico Egitto ed era probabilmente estratto da alcuni licheni (Roccella e Lecanora).
Un altro colorante rosso assai utilizzato veniva ricavato dalla robbia (Rubia Tinctorium) e precisamente dalla radice della pianta da cui ancora oggi si ricava un colorante naturale per stoffe e capelli. Abiti tinti con tale colore sono stati rinvenuti nella vallata dell’Indo e risalenti al terzo millennio prima di Cristo.
Rosso imperiale
Ma il colorante rosso più famoso dell’antichità è certamente il rosso imperiale, o rosso purpura.
Ebbe un incredibile successo in epoca classica, tanto da diventare il simbolo del potere imperiale romano e poi della Chiesa (i cardinali ancora oggi si chiamano “porporati”).
Il colorante era estratto da molluschi del genere Purpura e Murex che vivono sulle coste del Mediterraneo orientale fra Tiro ed Haifa. Erodoto parla dei commercianti cretesi vestiti di tuniche color porpora.
Le strade di Tiro, dove c’era la principale industria della purpura del tempo, a causa della decomposizione di un enorme numero di molluschi, aveva un odore nauseabondo, a riprova che l’industria chimica è sempre stata ambientalmente poco gradita.
Per produrre il colorante si tagliava una piccola parte dell’animale, una ghiandolina simile a una grossa vena, gettando via il grosso rimanente che così marciva fra i rifiuti.
Questa parte da lavorare veniva quindi fatta prima macerare in acqua e poi veniva bollita in una soluzione leggermente salata. L’operazione di bollitura durava giorni interi finché il volume del liquido non si riduceva a un sesto di quello originario.
La mitologia greca attribuiva la scoperta del rosso di Tiro, ovvero di questo rosso imperiale, ad Ercole che un giorno aveva visto la bocca del suo cane tingersi di rosso dopo aver masticato alcuni molluschi trovati su una spiaggia.
Questo colorante fu prodotto per secoli a Tiro, da cui traeva anche il nome di porpora di Tiro. Tiro era una città nell’attuale Libano, al tempo fenicia.
Per produrre un grammo di rosso di Tiro occorrevano circa novemila esemplari di mollusco e da questo se ne comprende l’enorme valore commerciale.
In realtà la porpora di Tiro aveva una composizione assai simile all’indaco con cui, per tutt’altra strada, si producevano questi coloranti blu, ma gli antichi non lo sapevano.
Oggi chiamiamo la molecola colorante estratta dai molluschi di murice di-bromo-indicano, dove l’indicano indica la molecola base dell’indaco da cui poi, con i processi ricordati, si otteneva la molecola finale, quella blu, dell’indaco o indigotina. Insomma il rosso dei molluschi aveva soltanto un atomo di bromo in più rispetto a quella dei blu dell’indaco.
Il fatto che questo colorante rosso fosse estratto da un animale marino e non da una pianta terrestre come tutti gli altri non deve sorprendere: il bromo infatti sulla terra è molto raro, mentre nell’acqua di mare ce n’è una certa quantità sciolta.
Coloranti azzurri
Il colore azzurro era il più costoso dell’antichità. Se oggi arrivasse ra noi un antico egizio o romano o greco e vedesse tutti questi jeans azzurri addosso alle persone resterebbe di stucco, perché nell’antichità il blu era davvero il colore dei più ricchi. Non per niente si parla ancora oggi di “sangue blu” o di “Principe azzurro”…
I coloranti blu dell’antichità erano di fatto soltanto due: il guado e l’indaco che, come dice il nome, proveniva dall’India.
I primi ritrovamenti di stoffe colorate in blu con l’indaco risalgono al 2400 a.C., al periodo della V dinastia egizia. Stoffe colorate di azzurro sono entrate nell’uso comune soltanto molto più tardi, attorno al 300 a.C.
A quell’epoca la pianta dell’indaco, la Indigofera Tinctoria, era massicciamente coltivata in Egitto e Siria.
Il guado invece era ricavato dall’Isatis Tinctoria.
Oggi si sa che i principio colorante del guado è lo stesso dell’indaco.
Coloranti verdi
I colori verdi erano ottenuti molto più semplicemente da foglie fresche di tantissime piante e quindi non se ne può dare un elenco sbrigativo. Erano i coloranti più a buon mercato e in genere ogni famiglia tesseva la lana in casa e in casa procedeva alla tintura con questi sistemi e materiali alla portata di tutti. Con effetti non sempre brillanti, cosicché il colore finale restava sempre fra il giallino, il beige, il verdolino e il marroncino.