Fibre di lino al microscopio ad un ingrandimento di 200 volte
Il lino era coltivato soprattutto in Egitto dove era anche il tessuto più utilizzato, mentre in Grecia era quasi sconosciuto, tranne che per i semi, che venivano usati per ricavarne un olio commestibile.
Il lino è menzionato nell’Esodo e bendaggi di lino si ritrovano nelle mummie egizie più antiche.
I Romani importavano il lino dall’Egitto e lo consideravano una pregiata merce di importazione. Plinio e Virgilio ritenevano che la sua coltivazione impoverisse i terreni e che avrebbe potuto attecchire nei terreni umidi o acquitrinosi e pertanto fertilissimi di alcune pianure dell’Italia del nord.
Ma più che l’Italia fu la Spagna a diventare famosa per le sue coltivazioni e produzioni di lino: tuniche di lino spagnolo furono indossate nella battaglia di Canne (216 a.C.).
Successivamente iniziarono le produzioni di lino in Germania e in Gallia e con l’arrivo a Roma di queste nuove importazioni arrivarono anche nuove mode di abbigliamento, come la camicia di lino e il mantello con cappuccio di lino. La parola “camisia” del tardo latino è di probabile origine gallica.
Nel medioevo il lino era diffusissimo ed ormai coltivato in tutta Europa mentre la qualità egiziana manteneva la sua supremazia qualitativa almeno fino al ‘300. Fino a tutto il settecento il lino rimase la fibra vegetale più importante in tutto il mondo occidentale.
La pianta del lino è il Linum Usitatissimus, ordine delle Linacee.
Il fusto della pianta in origine era usato per intrecciare ceste e la pianta in origine fu addomesticata soprattutto per i semi oleosi, buoni come foraggio ad alto contenuto calorico per il bestiame.
Per ottenere le fibre di lino, i fusti della pianta, privati di foglie e semi, venivano fatti macerare in acqua dove avvengono processi di fermentazione tali per cui in alcuni giorni la struttura del fusto vegetale si allenta.
Il 5% appena di quello che resta (mannelle di tiglio o più comunemente: il tiglio) è utilizzabile per filare. Il resto, dato che per la sua natura fibrosa non ha alcun valore commerciale, viene separato meccanicamente e gettato via. Il perché del costo del lino sta tutto in questa percentuale.
Nell’antico Egitto la pianta veniva strappata dal terreno e non tagliata e questo spiega perché nei lini egizi antichi si ritrovano spesso residui di erbacce.
Le capsule (i pericardi) venivano eliminati a mano con pettini mentre la separazione delle fibre dello stelo dalle parti legnose avveniva nella macerazione e fermentazione in acqua.
Quindi le fibre venivano estratte dagli steli macerati e asciugati mediante un processo meccanico di battitura. In Egitto si usavano mazze di legno su blocchi di pietra o legno.
Nel ‘300 in Olanda inventarono un arnese specifico per battere il lino, la “maciulla” il cui uso è arrivato fino a noi.
Nel settecento, sempre in Olanda, furono usati mulini a vento o ad acqua o a trazione animale, per separare le fibre dal fusto.
Dopo l’estrazione il lino veniva passato più volte attraverso i denti di un pettine per dividere e separare i fasci di fibra, facendo molta attenzione a non spezzarli.
Le fibre di scarto dopo la battitura meccanica erano utilizzate, nell’antica Roma, per farne funi o lucignoli per lucerne, mentre gli scarti della pettinatura venivano impiegati per farne abiti ordinari a più buon mercato.
La coltivazione del lino ha subito poche variazioni nel corso dei secoli mentre dopo il medioevo si cominciò a porre molta più attenzione nella scelta dei terreni di coltura e nella selezione dei semi.
In Olanda, per esempio, era comune prelevare i semi dai terreni pesanti per seminarli in terreni leggeri e viceversa.
Per ottenere il lino pregiato delle batiste estremamente delicate della Francia settentrionale, si seminava molto fittamente ed il raccolto veniva riparato dal vento e dal sole stendendovi sopra rami sostenuti da pali.
Con il tempo l’asciugatura del lino dopo la macerazione in acqua fu accelerata: in Olanda si usarono forni a bassa temperatura, così delicati che una persona avrebbe potuto comodamente starci dentro durante l’intero processo.
Sempre in Olanda, nel 1728 fu inventata una macchina per la pulitura del lino subito esportata in altri luoghi, come l’Irlanda, famosa per i suoi tessuti di lino.
All’inizio del ‘700 furono inventati procedimenti per scolorire il lino e sbiancarlo.
I semi per la semina erano separati dal loro involucro spargendoli in terra e facendoli calpestare da cavalli e i baccelli erano separati da macchine simili a quelle usate per vagliare il grano.
Il tessuto di lino è assai resistente, perché le singole fibre di lino all’estremità si separano in fibrille minutissime che si intrecciano fra loro in modo naturale, aumentando la resistenza meccanica all’usura delle fibre e quindi dei tessuti da loro ottenuti.
La fibra del lino, costituita unicamente da cellulosa, è di fatto un’unica cellula di forma molto allungata a forma di fuso cavo a seziona poligonale con le estremità che si assottigliano.
La lunghezza delle fibre (e quindi dell’unica cellula che la compone) è fra i 20 e i 40 millimetri. Il diametro invece è molto più piccolo ed oscilla fra 12 e 25 micron (millesimi di millimetro).
Le fibre del lino al microscopio si presentano come aghetti isolati che difficilmente si riuniscono in fasci di due o tre fibre.
Le singole fibre all’esame microscopico si presentano come cilindretti quasi completamente trasparenti e, nel senso trasversale sono attraversate da strie abbastanza regolari.
A differenza della lana, il lino è un buon conduttore termico e quindi risulta fresco, laddove la lana con la sua resistenza termica è un ottimo isolante.
Ecco perché il lino è preferito d’estate o comunque nei luoghi caldi del pianeta.
A differenza del suo concorrente vegetale più comune, il cotone, il lino ha un “difetto”: viene tinto con difficoltà.
Era questo il motivo per cui nell’antichità, prima della scoperta settecentesca della scoloritura, gli abiti di lino erano perlopiù del loro colore naturale, un beige giallognolo, ma mai colorati. Per tingere il lino (di tintura dei tessuti ci occuperemo in post specifici più avanti) occorrerà attendere le moderne tecniche tintorie e soprattutto la chimica dei coloranti sintetici dell’ottocento.