Difficile, molto difficile, che qualcuno non ami il cioccolato. Il suo aroma, il sapore, la sua particolarissima “scioglievolezza” nel cavo orale, i suoi effetti sull’organismo sono conosciuti a tutti.
Eppure il cioccolato non cresce sugli alberi, anche se deriva da un frutto vegetale il cui sapore ricorda quello del cioccolato ma non è lo stesso e soprattutto non ha le sue caratteristiche organolettiche che lo fanno davvero unico nel mondo degli alimenti.
La lucentezza di una barretta di cioccolato fondente, la mancanza di granulosità, la perfetta facilità di sciogliersi completamente alla temperatura del cavo orale, sono state ottenute attraverso l’applicazione industriale di molte scoperte ed invenzioni.
Prima, nelle grandi civiltà centro americane il cioccolato si usava soltanto come bevanda liquida, ottenuta direttamente dai semi dell’albero del cacao, macinati e dissolti in acqua calda.
Aveva proprietà neuro stimolanti e nutrienti ma era una bevanda che non piaceva a tutti, soprattutto perché facilmente irrancidiva, a causa del grasso in essa contenuto, il famoso “burro di cacao”.
Il burro di cacao è un grasso alimentare che a temperatura ambiente si presenta solido, a differenza della maggior parte dei grassi vegetali che si presentano sotto forma liquida (e che per questo si indicano come “oli”).
Per passare da questa bevanda utilizzata dagli indigeni del centro America, che i primi colonizzatori europei trovarono disgustosa, alle barrette di cioccolato fondente o al cioccolato al latte o anche alle moderne bevande a base di cioccolata, basate sulla polvere di cacao magra, furono necessarie una serie di scoperte ed invenzioni di non poco conto.
La principale è stata la preventiva estrazione del grasso dai semi. L’idea la ebbe un certo Van Houten che la brevettò. Egli riuscì, con un particolare processo di spremitura a freddo, ad eliminare dai semi la maggior parte del grasso naturale, dando origine alla polvere magra di cacao che è alla base del cioccolato fondente o al latte ma anche delle moderne bevande a base di cioccolato, che non irrancidiscono. Ed anche di quel burro di cacao che come vedremo ha trovato tantissime applicazioni non solo alimentari ma anche in altri settori, dal farmaceutico all’industriale.
Ma l’invenzione di Val Houten non bastava per arrivare alla nostra tavoletta di cioccolato. Per avvicinarci seriamente al risultato finale del cioccolato solido, bisognò aspettare l’arrivo sulla scena di un industriale svizzero, tale Joseph Fry.
Questi scoprì il modo di rimescolare a caldo la polvere magra di cacao e il burro di cacao – ma in proporzioni differenti che nel seme di partenza – assieme a zucchero e ad altri ingredienti. Questa pasta fusa, raffreddandosi, dava origine a una sostanza nuova: dura, relativamente fragile e che, guarda caso!, si scioglieva proprio alla temperatura del cavo orale. Fry aveva inventato il cioccolato fondente.
Dopo qualche anno, necessario per mettere a punto il processo nei dettagli, entrò in commercio il cioccolato nero, un prodotto alimentare mai visto prima, in tavolette, barrette, cioccolatini, cubetti, puro o farcito di altre ghiottonerie. Una cosa inesistente nel mondo vegetale da cui pure proveniva, dal sapore e dal profumo molto invitanti.
Ma il prodotto non aveva ancora tutte le caratteristiche che noi conosciamo: per esempio in bocca era granuloso e non si scioglieva perfettamente; era opaco, ungeva le mani e scricchiolava fra i denti. Occorreva qualcos’altro.
Si è dovuto attendere fino a quasi la fine dell’800 per avere il cioccolato fondente come lo conosciamo noi. Fu soltanto allora che un industriale dal nome destinato a diventare famoso nel mondo del cioccolato, tale Rudolph Lindt, mise a punto i procedimenti del concaggio e successivamente della tempera, che gli permisero una miscelazione ottimale della pasta di cioccolato fuso per ottenere barrette di cioccolato cremose e perfettamente fusibili al calore del palato, dall’aspetto esterno lucidissimo, quasi metallico.
Nel 1879 Lindt aprì a Berna una fabbrica del suo nuovo cioccolato, praticamente uguale al migliore dei giorni nostri. Il brevetto di Van Houten, come abbiamo detto, riguardava la separazione del burro di cacao dal seme.
Per produrre il cioccolato fondente occorre prima togliere il burro di cacao e poi riaggiungerlo ma in quantità maggiori che in partenza: il cioccolato contiene infatti più burro di cacao che il frutto dell'albero del cacao. Ma poiché assieme al burro di cacao si aggiunge anche zucchero, ecco che alla fine nel cioccolato il contenuto di burro di cacao, sul totale, è inferiore a quello presente nei frutti del cacao.
Per ottenere il cioccolato solido che conosciamo noi insomma non basta macinare i semi del cacao, poiché contengono troppo poco burro. Né si possono aggiungere altri tipi di grassi vegetali perché questi, in generale, sono liquidi a temperatura ambiente e così si otterrebbero prodotti che colano… bisognava aggiungere lo stesso burro di cacao di partenza ma in percentuali diverse e mettendoci anche un po’ di zucchero e infine un magnifico ingrediente, pure esso proveniente dalla foresta centro Americana: la vaniglia.
Van Houten non si accontentò del cioccolato fondente ma macinò i panelli sgrassati, ottenendo la polvere di cacao magra, ottima sia per fare la cioccolata liquida in tazza come la conosciamo noi sia per produrre creme di pasticceria a base di cacao, largamente impiegate in ambito casalingo così come industriale.
In altre parole per produrre la cioccolata in tazza bisogna rimuovere il burro di cacao mentre per ottenere il cioccolato fondente occorre aggiungerlo.
In un prossimo post esamineremo in maggior dettaglio le tecniche del concaggio e soprattutto quella della tempera, senza le quali il nostro cioccolato fondente non sarebbe tale! In un altro post ancora parleremo del cioccolato al latte, che si basa su una delle più grandi tecnologie alimentari scoperte nell’800: la disidratazione del latte vaccino, che oltre a render possibile il cioccolato al latte permise lo svezzamento sicuro di migliaia di bambini.