Il tè, come sappiamo, è l’infuso delle foglie di Camellia sinensis. Pertanto in una tazza di tè senza alcuna aggiunta (tipo zucchero o latte o altro) troveremo le sostanze solubili in acqua calda presenti in queste foglie.
Fra queste le più importanti sono i polifenoli di cui i germogli e le foglioline apicali, le più tenere, sono assai ricche, la caffeina, una sostanza amara che alcune piante usano per difendersi dai morsi degli erbivori, più alcune sostanze, come l’aminoacido teanina, dalle interessanti proprietà ansiolitiche.
Poiché la caffeina è insapore, il sapore di una tazza di tè dipenderà praticamente dai polifenoli disciolti. Ora il tipo e la quantità dei vari tipi di polifenoli disciolti –e quindi in definitiva il sapore della nostra tazza di tè- dipenderà da due fattori: il tipo di foglie messe in infusione e le modalità dell’infusione.
Cosa mettiamo in infusione
Gli infusi di tè si possono fare o direttamente con le foglioline della pianta opportunamente essiccate, come capita nei casi del tè bianco oppure con foglioline parzialmente “fermentate”, come capita con i tè verdi e infine con foglioline ben “fermentate”, come capita con gli Oolong e i tè neri.
Abbiamo messo la parola “fermentate” fra virgolette perché è facile, con questo termine, cadere in un equivoco: la parola fermentazione è infatti impiegata, nell’industria agroalimentare, come per esempio quella vinicola, per indicare una reazione biochimica degli zuccheri contenuti nell’uva che, per mezzo di alcuni “fermenti” biologici, si trasformano in alcoli (l’etilico principalmente ma anche altri alcoli e ulteriori sostanze, come aldeidi e chetoni).
Nel caso del tè invece, questa parola indica un processo completamente diverso: la reazione interna alle foglioline del tè fra alcune sostanze in esse contenute per produrre dei polifenoli molto più grandi di quelli di partenza. Inoltre nel processo interviene anche l’ossigeno dell’aria che provoca l’ossidazione di queste sostanze.
Insomma una serie di processi chimici complessi che danno origine, nel caso dei tè neri (o, appunto, “fermentati”) alla classe delle teorubigine (i polifenoli colorati di rosso tipici di questi tè) e delle teofilline (i polifenoli che danno al tè il suo aroma e sapore caratteristico).
Quindi, a seconda delle foglie di partenza e del tipo di processi cui sono state sottoposte, il sapore finale sarà diverso. E da queste differenze nasce la grandissima varietà di infusi di tè che si possono gustare.
E questo, in definitiva, dipende da tè che compriamo e quindi non da noi.
Il processo di infusione
Ma anche il modo con cui noi facciamo l’infuso ha grande rilevanza ai fini del sapore finale. Qui il merito o la colpa del risultato è tutta nostra.
Una infusione è, da un punto di vista scientifico, una soluzione in acqua calda. Il processo di solubilizzazione segue regolette abbastanza semplici: la quantità delle sostanze che passano in infusione dipende da tre fattori: la quantità di roba che mettiamo in infusione (i grammi di tè), la temperatura dell’acqua e il tempo di infusione.
Più è alta la temperatura e maggiore è il tempo di infusione, più alta sarà la quantità di sostanze che passano in soluzione. Ovviamente più tè mettiamo in infusione e più roba si scioglierà, ma questo è banale.
Se nel tè ci fosse soltanto una sostanza da sciogliere, la quantità finale e quindi il sapore finale dipenderebbe quindi soltanto da quanto l’acqua è calda e da quanto tempo abbiamo tenuto le foglioline immerse nell’acqua.
Ma nel tè ci sono moltissime sostanze, ciascuna delle quali ha una sua “curva di solubilità” diversa. Che significa “curva di solubilità”? significa che ciascuna di esse ha la sua velocità di solubilizzazione.
Alcune sostanze si sciolgono molto velocemente anche a temperatura relativamente basse, altre necessitano o di temperature più alte e/o di tempi di infusione maggiori.
E così, a seconda del tempo di infusione e della temperatura dell’acqua, otterremo una miscela finale di sostanze disciolte differente, anche partendo dalle stesse foglioline.
Per esempio la curva di solubilità della caffeina è molto alta, nel senso che la caffeina si scioglie con grande facilità. In tre minuti in acqua a 80 gradi centigradi praticamente la maggior parte delle molecole di questa sostanza passano in soluzione.
Altre sostanze, come alcuni polifenoli, ci mettono più tempo, altri polifenoli ancora di più.
E così se faccio una infusione, poniamo, di tre minuti a 70 gradi avrò un particolare rapporto fra le quantità delle varie sostanze. Se aumento i tempi o la temperatura, il rapporto cambierà. E con esso, ovviamente, anche il sapore (e il colore) dell’infuso. I polifenoli più grandi impiegano più tempo a sciogliersi e così se lascio per molto tempo le foglioline in infusione, alla fine anche loro passeranno in soluzione, dando al tè il suo tipico sapore astringente. I polifenoli, specie i più grandi, spesso chiamati tannini, hanno un tipico sapore astringente.
In generale i buoni negozi di tè scrivono su una etichetta la temperatura e il tempo di infusione ottimali per ogni tipo di tè ma, poiché in fondo si tratta di gusti personali, ciascuno poi potrà modificare questi due parametri come meglio crede, ottenendo infusi dal sapore differente.
Lo zucchero
È evidente che qualsiasi aggiunta alla nostra tazza di tè ne altera il sapore, in fondo aggiungiamo qualcosa proprio per questo.
Lo zucchero storicamente fece la sua comparsa nel tè con gli inglesi. La scelta di aggiungere zucchero al tè fu fatta non soltanto per addolcirne il sapore ma anche per offrire alle classi popolari, per cui il tè era una vera e propria pietanza mattiniera, le calorie necessarie ad affrontare il duro lavoro nelle fredde giornate inglesi di metà ottocento.
Il tè fu impiegato anche come strumento di lotta all’alcolismo, che aveva la sua principale ragion d’essere proprio nel fatto che l’alcool era molto calorico. Bene, sostituendo una buona tazza di tè zuccherato al bicchiere di Gin o di (pessimo) Whisky che giravano nei quartieri popolari, si offrivano più o meno le stesse calorie senza i rischi dell’abuso di alcool.
Un altro motivo per cui si cercava di sostituire il tè all’alcool era che mentre l’alcool aveva un effetto negativo sull’attenzione, il tè, con il suo contenuto di caffeina, aumentava l’attenzione e la prontezza di riflessi e questo era molto importante per una manodopera chiamata sempre più spesso ad impiegare macchine complicate e anche pericolose. Non per niente il tè è stato chiamato, assieme al caffè con cui condivide la presenza di caffeina, la bevanda del capitalismo.
Lo zucchero addolcisce il tè e ne modifica il sapore. Ma non interagisce chimicamente con le sostanze già in esso disciolte e provenienti dalle foglioline di Camellia sinensis. Per lo meno non nel breve lasso di tempo nel quale si beve una tazza di tè.
Se invece lascio il mio tè zuccherato per tre giorni in una dispensa, beh, allora si innescano inevitabilmente le reazioni di “fermentazione” alcolica e il tè diventa un’altra cosa, che sarà meglio gettare via.
Il latte
Molti aggiungono un po’ di latte al tè, per “arrotondarne” il sapore. Andiamo più a fondo di questo processo.
Intanto non andrebbe mai aggiunto un po’ di latte freddo a una tazza di tè bollente, se non si vuole che il latte cagli e diventi, praticamente, formaggio.
Occorre aggiungere il tè caldo, molto lentamente, al poco di latte freddo messo in una tazza: in questo modo la temperatura del poco latte al fondo aumenterà più lentamente assieme alla sua dispersione nel tè finale e così si limiterà il processo di coagulazione del latte, con un sapore risultante meno aggressivo.
Il latte, nel tè, a differenza dello zucchero, reagisce con alcuni componenti chiave dell’infuso, alterandone la struttura e, in definitiva, il sapore finale.
In particolare il latte, o meglio la caseina che contiene, reagisce con i polifenoli, rendendoli meno astringenti nel sapore. Ovviamente non tutto il latte reagisce e quindi quello che non reagisce contribuisce con il suo tipico sapore, al sapore della tazza finale.
È da notare che all’interno dell’ambiente molto aggressivo dello stomaco, il debole legame fra caseina e polifenoli viene rotto e quindi di fatto l’aggiunta di latte altera il sapore ma non la composizione finale di ciò che dal tè assorbiamo.
La buccia di limone
Le bucce di limone sono ricchissime di oli essenziali (da essenza) del limone, che hanno un odore e un sapore caratteristici. Aggiungerne all’infuso cambierà radicalmente il sapore finale, senza che avvengano particolari reazioni chimiche.
Il gusto finale di questo processo di aromatizzazione in tazza piace a molti, tanto che le case produttrici di tè da secoli ormai aggiungono oli essenziali ad alcuni loro prodotti che hanno quindi già in partenza queste sostanze aromatiche: sono i famosi tè aromatizzati.
Quelli al bergamotto sono fra i più famosi ma ci sono anche quelli al gelsomino e così via.
Il succo di limone
Se gli oli essenziali della buccia di limone aggiungono sapore senza reagire con le sostanze del tè, il succo di limone invece reagisce in modo assai evidente con alcune di esse.
Tutti sanno che spremere un po’ di succo di limone a un tè nero (che di per sé è di un bel colore arancio carico) lo fa scolorire. Il fenomeno è assai evidente da un punto di vista visivo ed avviene perché il succo di limone è acido.
L’acidità fa cambiare forma ad alcune teorubigine (i polifenoli che arrossano i tè neri) tanto da farli diventare incolori. Non è un fenomeno tipico solo delle teorubigine, ma di molte sostanze organiche. I chimici le chiamano “indicatori acido-base” perché indicano, con il cambiamento di colore, quanto è acida, almeno da un punto di vista qualitativo, una soluzione. Il tè, in realtà le sue teorubigine, è un buon indicatore acido-base.
Ovviamente, al di là di questo effetto ottico, il succo di limone, con il suo sapore caratteristico altera di per sé il sapore dell’infuso. Ma anche le teorubigine che cambiano forma cambiano sapore e quindi alla fine l’aggiunta del succo di limone altera significativamente il sapore di una tazza di tè, come naturalmente tutti sappiamo.