Non so quanti di voi abbiano mai assaggiato carne cruda che non abbia subito alcun trattamento, ma posso garantirvi che ha un sapore assolutamente blando e un odore, specie se è freschissima, praticamente inesistente.
Sono la cottura, unita alla salatura e all’aggiunta di spezie, ovvero altri e ben precisi meccanismi chimici che intervengono con la stagionatura, a dare alla carne conservata il sapore e l’odore irresistibile che ben conosciamo.
La cottura delle carni ha un duplice scopo: da una parte la rende “sterile”, uccidendo microbi e funghi che potrebbero aggredirla e dall’altra demolisce le strutture chimiche degli enzimi già naturalmente presenti e che potrebbero avviare reazioni biochimiche di degradazione, con conseguenti forti impatti negativi sul sapore e l’odore con ricadute perfino sulla sicurezza alimentare. Esistono due tipi di carni conservate: quelle cotte e quelle crude.
I SALUMI COTTI
La cottura della carne, come dicevamo, interrompe ogni reazione di degradazione biochimica.
Gli ingredienti che si aggiungono a carni cotte servono quindi solo a conservare l’aroma e il sapore raggiunti con la cottura, preservando la carne da successivi attacchi microbici o fungini.
Durante la cottura si scatena la reazione di Maillard, che abbiamo già esaminato nel caso dei prodotti da forno.
Essa fa reagire gli aminoacidi che compongono le proteine della carne con gli zuccheri che derivano dalla rottura dei glucidi, sostanze che gli animali sintetizzano a partire dai carboidrati, dalla cellulosa o dalla carne di altri animali, a secondo della loro dieta.
E come sempre questa complicata successione di reazioni chimiche, che va sotto il nome di reazione di Maillard, provoca la comparsa di tutta una serie di composti dall’aroma e dal gusto molto particolare e attraente… c’è poco da fare: un bell’arrosto croccante o un bollito misto emanano un odore decisamente migliore di una fettina di carne cruda.
Durante la cottura si sintetizzano anche un bel po’ di composti “aromatici” che per i chimici non indicano un odore piacevole ma molto più semplicemente la presenza di molecole benzeniche, ovvero di anelli chiusi, a forma di esagono o pentagono, formate da atomi di carbonio e idrogeno con nuvolette di elettroni sparsi sopra e sotto gli anelli!
Si formano furani, pirazine, pirroli, ossazoli, tiofeni, e altri composti chiamati eterociclici e che sono formati dalle molecole benzeniche di cui sopra a cui un atomo di carbonio è stato sostituito da un atomo di zolfo, di azoto o di ossigeno, con relativo cambiamento di posizione e forma delle nuvolette elettroniche sopra e sotto.
Sembra strano ma sono proprio queste nuvole di elettroni sparse sulle molecole a dare in definitiva il gusto e il sapore che tutti apprezziamo in una crosticina di arrosto fumante!
In particolare i composti derivanti dalla reazione di un particolare aminoacido, la cisteina, che contiene zolfo, con il ribosio, un particolare zucchero a cinque atomi di carbonio sembrano risultare molto “saporiti”.
Questi composti solforati si formano soprattutto durante la bollitura delle carni e quindi sono fra i maggiori responsabili del sapore dei salumi cotti, che notoriamente vengono trattati per bollitura, laddove composti contenenti atomi di azoto, come le pirazine, sono tipici delle carni cotte ad alte temperature, ovvero al forno o sulla brace.
I SALUMI CRUDI
Tutt’altra storia per il sapore e odore dei salumi che non subiscono cottura.
Nelle carni crude e vive sono presenti moltissimi enzimi che, appena l’animale muore, entrano in azione per degradare le molecole.
Per la fabbricazione dei salumi è necessario che questi enzimi entrino in azione in modo da ammorbidire la carne, ma che la loro azione non proceda oltre un certo limite, altrimenti avremmo la formazione di molecole maleodoranti e anche pericolose.
Occorre dunque intervenire ad un certo punto, bloccando ma non del tutto l’attività enzimatica.
A questo servono le varie tecniche di salatura, affumicatura, stagionatura, etc… che si sono sviluppate in ogni parte del mondo per trattare questi gustosissimi alimenti.
Proprio durante la stagionatura, infatti, gli enzimi rimasti attivi e che erano presenti originariamente nelle carni oppure che derivano da attacchi batterici o fungini non ostacolati, entrano in azione ed attaccano i glucidi, le proteine, ma anche i grassi (che invece la reazione di Maillard lascia inalterati).
Un fattore importantissimo per regolare l’azione degli enzimi è il contenuto di acqua: se infatti essa è in eccesso, si scatena un eccessivo lavoro enzimatico, con formazione di composti sgradevoli; se invece è troppo poca, se ne ostacola l’attività e alla fine ci si ritrova con un pezzo di carne cruda rinsecchita.
Ecco che pertanto la regolazione dei processi di perdita di peso, che altro non sono che perdita dell’acqua contenuta nei tessuti, è di importanza decisiva per la produzione di salumi crudi.
Nel caso di salumi consistenti in carne cruda tritata e variamente insaccata in contenitori di varia forma e dimensione, il processo prevalente è quello microbico, in cui ad agire sono gli enzimi prodotti dai microorganismi che si sviluppano all’interno degli insaccati.
Ormai è prevalente l’utilizzo di “starter” microbici, che si aggiungono alle carni crude per avviare le reazioni di attacco microbico desiderate ed ostacolare quelle indesiderate.
Un effetto secondario ma non meno importante dell’attacco microbico sulle carni crude è che durante la degradazione dei carboidrati si sviluppa acido lattico, che aumenta l’acidità del mezzo contribuendo in maniera importante alla conservazione finale del prodotto.
Inoltre l’aumento di acidità favorisce la coagulazione delle proteine aumentando la consistenza della carne (un salame appare molto più consistente della carne fresca macinata di partenza), migliorando decisamente l’appealing organolettico del prodotto.
In pratica si formano composti che “legano” fisicamente fra loro le proteine dei pezzetti di carne non degradati, dando al prodotto finale l’omogeneità necessaria per ottenere un sapore unico piuttosto che un’accozzaglia di sapori non ben armonizzati.
Tutti sappiamo – è riportato in etichetta – che in alcuni salami si aggiunge lattosio, uno zucchero contenuto nel latte.
Lo scopo di questa aggiunta è quello di permetterne l’attacco su questa sostanza di particolari microbi che a loro volta producono enzimi che originano composti con un gusto particolare, tipico di questi salami.
Molti contadini hanno ricette in cui ai salami,prima della fase di conservazione, si aggiungono zuccheri o sostanze zuccherine, proprio per facilitare questo tipo di reazioni microbiologiche. Una sapienza antica a volte non ben cosciente dei processi che governa, ma capace di risultati incredibili.
Ma il processo più generale è l’attacco da parte degli enzimi microbici delle proteine della carne.
Gli enzimi rompono le lunghe (e dure) catene proteiche, degradandole in composti che danno al palato la sensazione di maggiore “scioglievolezza” e quindi di piacevolezza generale.
Gran parte del sapore dei salami deriva dalla presenza di aminoacidi liberi (le proteine sono costituite dall’unione di vari aminoacidi in catene attorcigliate su se stesse come eliche).
Dalla degradazione degli aminoacidi liberi, derivano infatti composti aventi aromi particolarissimi e che conferiscono ai prodotti sapori e gusti assolutamente nuovi rispetto alle carni crude di partenza.
Si tratta di aldeidi (che danno gusto a molti distillati di vino o vinaccia o distillati di cereali) e chetoni (i veri responsabili del profumo del salame), alcoli, acidi carbossilici, terpeni e idrocarburi a non finire, in una possibilità di mescolanze praticamente innumerabile, come testimonia l’enorme varietà di questi prodotti.
L’attacco degli enzimi ai grassi contenuti nelle carni crude, infine, permette la liberazione di acidi grassi liberi e di glicerina.
Alcuni acidi grassi, detti insaturi, possono ossidarsi e formare composti volatili, estremamente ricchi di odori delicatissimi o pungenti.
Ma anche i lipidi tal quali, cioè prima di subire la lipolisi ad opera degli enzimi, possono ossidarsi, dando origine ad altri composti dall’aroma deciso e particolare.
Ecco perché occorre stare molto attenti all’esposizione di questi insaccati all’azione dell’aria o anche della luce (che favorisce le reazioni di ossidazione): se troppa infatti si sviluppano quantità eccessive di acidi grassi e di composti volatili, con pregiudizio del gusto finale; se troppo poca, non si sviluppa il gusto desiderato.
Soltanto l’esperienza derivante dal lavoro di generazioni di artigiani riesce a trovare il giusto equilibrio di fattori necessario a formare il gusto e il sapore di un insaccato di qualità.
LA CONSERVAZIONE
Il cloruro di sodio, il normale sale da cucina, è la sostanza tradizionalmente usata per conservare le carni crude.
La sua azione è essenzialmente fisica e non chimica.
Un’alta concentrazione di sale, infatti, fa uscire dalle singole cellule della carne l’acqua in essa contenuta, impedendo o limitando le successive reazioni di degradazione (senza acqua, infatti, microbi, lieviti, muffe e batteri non riescono ad attivarsi e spesso muoiono).
Anche il fumo, elemento tipico di stagionatura di molte carni crude conservate, ha un’azione inibente sull’attività microbica: i composti contenuti nel fumo, infatti, risultano tossici a questi organismi e ne bloccano l’attività, dando inoltre alle carni un gusto molto particolare, che va tuttavia ben governato perché non risulti eccessivo.
Anche la qualità dei legni utilizzati influisce sull’effetto finale, almeno da un punto di vista organolettico, perché da legni diversi si sviluppano sostanze differenti.
In generale i composti che si originano dalla combustione dei legni e che donano alle carni esposte ai fumi l’aroma tipico dell’affumicatura, sono i fenoli, che hanno spiccate attività antibatteriche.
Oggi in realtà l’affumicatura serve soltanto a conferire un gusto particolare alle carni piuttosto che ad esercitare azione di vera conservazione, che viene ottenuta in maniera più sicura con altri sistemi.
Con l’affumicatura si sviluppano composti chimici particolari, dotati di un odore penetrante e piacevole, come il guaiacolo, il 4-metilguaiacolo, il siringolo, ed altri ancora.
Ma anche molte spezie, che vengono aggiunte ad alcuni carni crude prima della fase di stagionatura, hanno un effetto di conservazione, anche se il loro utilizzo è legato soprattutto all’ottenimento di aromi e gusti particolari.
Fra tutte le spezie come non ricordare il peperoncino piccante, utilizzato a dosi davvero massicce in alcune regioni del nostro Meridione ed il cui principio attivo è la capsaicina. Il pepe, principe delle spezie, dalle note proprietà conservanti, reagendo con l’ambiente presente nei salami nella fase di attacco microbico e di stagionatura, produce una grande quantità di terpeni, sostanze fortemente aromatiche, che danno al salame ulteriori aromi particolari.
Nel salame “Milano”, per esempio, circa il 50% dei composti volatili che danno aroma al prodotto è costituito da terpeni, la maggior parte dei quali proviene dalla degradazione del pepe aggiunto.
Se si analizzano le sostanze volatili presenti in un famoso salame spagnolo, il Chorizo, si scopre che la maggior parte di esse derivano da composti a loro volta prodotti dalla degradazione di spezie aggiunte (soprattutto paprika ed aglio) e dal fumo con cui il salame è trattato.
Quindi non sono le spezie tal quali a dare aroma ai salumi ma i composti che si formano dopo attacco degli enzimi naturalmente presenti nelle carni o aggiunti ad esse su queste spezie.
Una differenza interessante fra salami ottenuti con metodi casalinghi e tradizionali e salami di origine industriale è che mentre i primi, ottenuti con stagionature a freddo di lunga durata e con aggiunta di soli nitrati quali conservanti, sono ricchi soprattutto di aldeidi e chetoni, i secondi, ottenuti con stagionature più brevi e a temperature più alte, sono più ricchi in acidi volatili.
Nei primi si può sviluppare più facilmente esanale, che proviene da reazioni di irrancidimento dei grassi, ma si sviluppano anche esteri etilici, che invece mancano del tutto o quasi nei salami industriali, perché si possono sviluppare soltanto in condizioni di lunga o lunghissima stagionatura.
A questi esteri etilici si deve il profumo davvero unico dei salami casalinghi fatti ad arte e che i salumi industriali non potranno mai avere.
IL PROSCIUTTO
Questo alimento merita un discorso a parte.
Nei prosciutti restano presenti una grande quantità di aminoacidi liberi, cosa che ne garantisce un’elevata digeribilità rispetto ad altri tipi di carne cruda conservata. Inoltre nel prosciutto si sviluppa acido glutammico, il famoso glutammato che si ritrova in quasi tutti i cibi conservati quale sostanza aggiunta per aumentarne la sapidità… ebbene: nel prosciutto si sviluppa naturalmente! Il prosciutto appare subito un tipo di carne conservata particolare e di elevato pregio e delicatezza.
Molti di voi avranno notato, con una certa preoccupazione, la formazione di cristallini bianchi sulla superficie di taglio dei prosciutti e magari avrà pensato ad attacchi microbici o a chissà quali diavolerie aggiunte.
Niente pericolo, si tratta di un aminoacido, la tirosina, che all’aria precipita e che a volte si ritrova anche all’interno del prosciutto, dando fra i denti la sensazione di granellini gessosi.
È la prova che le proteine della carne del maiale si sono spezzate dando origine ad aminoacidi liberi, fra cui, appunto, la tirosina.
Prosciutti spagnoli, oggi molto di moda anche da noi, hanno una concentrazione di aldeidi molto più elevata di quelli “nostrani” con un aroma finale più forte e deciso.
Ma i nostri, il prosciutto di Parma in particolare, è ricco di esteri, a differenza di prosciutti spagnoli o francesi, con un gusto finale decisamente più delicato e particolare.
Nei prosciutti toscani, cui si aggiunge pepe nero in superficie, per favorirne l’attacco enzimatico durante la stagionatura, si sviluppano grandi quantità di terpeni, e queste molecole sono responsabili dell’aroma molto particolare e profumato di questi prodotti.