La cottura tradizionale serve anche a sterilizzare i cibi, uccidendo le forme viventi che proliferano su di esso o almeno riducendone drasticamente il numero.
Parliamo di batteri, microbi in genere, funghi, parassiti, piccolissimi insetti o ragni, larve.
La cottura, con qualsiasi sistema venga effettuata, li cuoce letteralmente, impedendone l’attività all’interno dei nostri organismi.
Un eccellente modo di “cuocere” questi ospiti sgraditi laddove già presenti, come nel caso di microbi o batteri o impedendone l’arrivo come nel caso di forme viventi di maggiori dimensioni, ovviamente non tralasciando di cuocere il cibo in un modo particolarmente gustoso, è la salatura.
Abbiamo già parlato dell’equilibrio osmotico, quella legge di natura che regola la concentrazione di sali minerali in due sistemi separati fra di loro da una membrana permeabile e che inizialmente hanno differenti concentrazioni di sali minerali fra l’interno e l’esterno della membrana.
Ebbene, un insieme di cellule tenute assieme da un reticolo di fibre (muscolari o vegetali), può rappresentare un ottimo modello di membrana che separa il fuori dal dentro. Insomma il nostro alimento avrà una superficie biologica che agirà esattamente come una membrana permeabile ai sali minerali.
Così se all’esterno della membrana c’è una concentrazione di sali molto differente dall’interno, la legge dell’equilibrio osmotico farà in modo che alla fine, in un certo tempo, le concentrazioni si avvicinino fra di loro attraverso il passaggio di sali dall’ambiente più salato a quello più sciapo.
Così il sistema, l’ambiente più “salato” si diluisce facendo entrare acqua dall’altro sistema inizialmente più diluito (o sciapo) che così facendo, invece, si impoverisce di sali.
Quando saliamo l’ambiente esterno a un alimento crudo, come capita per esempio nella salatura delle sardine, dopo un po’ le cellule della pelle dei pesciolini si renderanno conto di essere fuori equilibrio osmotico perché all’interno hanno troppo poco sale rispetto all’esterno e così si “strizzeranno” letteralmente per far uscire l’acqua che contengono, cercando così di ristabilire l’equilibrio della concentrazione salina fra l’interno e l’esterno.
Se infatti perdono acqua è come se aumentassero il contenuto dei propri sali interni (ad essere uguali infatti devono essere le concentrazioni saline, ovvero i rapporti fra il contenuto di sali e il contenuto di acqua).
Torniamo alle sardine. Si strizzeranno per far uscire acqua ma non riusciranno ad ottenere al loro interno la stessa concentrazione salina di fuori perché fuori c’è troppo sale (le salature si effettuano “esagerando” con la quantità di sale) ma in questo modo perderanno quasi tutta la loro acqua e si rinsecchiranno.
Allo stesso modo si comporteranno anche le cellule di eventuali ospiti sgraditi, come batteri, microbi, parassiti e larve di ogni tipo presenti nelle sardine: si rinsecchiranno fino a morire.
E così, con del semplice sale da cucina messo in abbondanza sulla superficie esterna delle nostre sardine, avremo ottenuto una essiccazione forzata dell’alimento e soprattutto la sua completa sterilizzazione.
Ad essere precisi, l’effetto sterilizzante del cloruro di sodio è dovuto anche all’attività biochimica del sodio, che oltre un certo limite inibisce la vita di tutte le forme viventi, ma questo aspetto per essere approfondito richiederebbe parecchia chimica biologica e pertanto lo sorvoliamo, tanto ai nostri fini non aggiunge molto anche se per le industrie che preparano cibi conservati sotto sale questi sono aspetti molti importanti.
La salatura esterna comporta anche la parziale perdita dei sali minerali che erano inizialmente presenti nell’alimento e di molte vitamine, come la vitamina “C” e di alcuni aminoacidi.
In questo modo la salatura diminuisce un po’ il potere nutrizionale dell’alimento.
Un altro inconveniente della salatura che, lo ricordiamo, è un metodo di conservazione più che di cottura, anche se si sviluppano attività tipiche della cottura come la denaturazione delle proteine, è che il sale facilita l’ossidazione dei grassi contenuti nell’alimento, favorendone l’irrancidimento.
Siccome in questo caso è lo ione sodio che agisce, alcune industrie che praticano la salatura utilizzano cloruro di potassio per salare, visto che il potassio non facilita l’irrancidimento dei grassi.
Ma il suo uso viene ora limitato perché pare abbia che in quantità eccessive possa presentare effetti negativi sulla salute di chi poi mangia l’alimento sottoposto a tale tipo di salatura.
Da un punto di vista terminologico, se si aggiunge sale solido direttamente all’esterno dell’alimento, allora si parla di salagione. In questo caso si usa sale grosso e non sale fino perché quest’ultimo penetrerebbe troppo rapidamente all’interno delle cellule dell’alimento impedendo una successiva penetrazione negli strati più interni che pertanto risulterebbero non trattati.
Se invece si sala il cibo con soluzioni liquide molto concentrate di sale in acqua e allora si parla di salamoia.
In questo caso la concentrazione della salamoia può essere di vario tipo: debole (attorno al 10%), media (attorno al 20%) o forte (fino al 30%). In questo caso il sale penetra lentamente nell’alimento e quindi, man mano che il processo va avanti, occorre aggiungere altro sale per mantenerne fissa la concentrazione nell’acqua di salamoia.
Come dicevamo, la salatura non ha soltanto uno scopo igienico: è una vera e propria cottura, almeno per quanto riguarda i cibi ricchi di proteine (ed infatti è sulle carni che di solito viene applicata).
La salatura infatti provoca la denaturazione delle proteine e ci se ne può accorgere come al solito dal fatto che la carne passa dal suo tipico colore rosso di quando è cruda al colore grigio di quando è cotta.
La cottura effettuata dalla salatura esplica la sua migliore attività nel caso del pesce: soprattutto nel baccalà la denaturazione delle proteine e quindi il livello di “cottura” a sale, è davvero un sistema molto utilizzato.