La cottura altera quasi sempre il colore degli alimenti.
Tutti sanno che una verdura bollita è più scura di una fresca o che la carne arrosto è grigia mentre quella fresca è rossa.
Vedremo in un altro post che per esempio la brillantezza delle foglie di verdura crude dipende dalla presenza di bollicine d’aria che come minuscoli brillantini riflettono la luce e che quest’aria esce con la bollitura facendo perdere brillantezza alle foglie. Quello però è un effetto fisico, dovuto all’eliminazione di minuscole bollicine d’aria, ma esistono anche altri meccanismi, di tipo chimico, con i quali la cottura altera l’aspetto e il colore degli alimenti.
Cominciamo questa brevissima carrellata (una trattazione completa sull’argomento richiederebbe diversi volumi) partendo proprio dalle verdure. Sappiamo che il verde dei vegetali è dovuto alla clorofilla.
Questa molecola è molto complessa e non potremmo certamente descriverla a parole senza usare formule chimiche abbastanza complicate ma possiamo dire che essa è formata da singolo un atomo di magnesio attorno a cui sono organizzate strutture chimiche abbastanza complesse che i chimici chiamano “leganti”.
È proprio l’interazione fra gli elettroni del magnesio centrale e gli elettroni di questi gruppi periferici leganti a determinare in definitiva il colore verde della clorofilla e, di conseguenza, del mondo vegetale.
Con la cottura ma anche con acidi deboli come l’aceto con cui si condiscono molte insalate, il magnesio viene letteralmente cacciato via da queste strutture e sostituito da atomi di idrogeno.
I composti risultanti, senza più il magnesio al centro, non sono più clorofille, ma feofitine, e non hanno più un colore verde brillante ma un colore diverso, che dà sempre sul verde ma che è meno brillante.
In realtà esistono due tipi di feofitine: la feofitina “a”, di colore grigio-verde, e la feofitina “b”, di colore verde oliva.
Continuando a cuocere, le modifiche strutturali indotte dal calore alla complessa molecola di clorofilla la fanno diventare sempre più giallina.
A proposito, la scomparsa della clorofilla, stavolta per lenta degradazione naturale e non per cottura, fa sì che le foglie appaiano del colore di altri coloranti, più resistenti, presenti nelle cellule vegetali, che sono di colore giallo-rossiccio: questa è la ragione per cui d’autunno le foglie ingialliscono.
Esse non diventano gialle ma perdono il colore verde che copriva il giallo.
Tornando ai processi di cottura, la trasformazione della clorofilla in feofitine a causa dal calore o di trattamenti con sostanze acide (ricche cioè di atomi di idrogeno liberi di muoversi e capaci di sostituire il magnesio), è vera la ragione del cambio di colore che si ha durante la cottura delle verdure o, dopo un certo tempo, nelle verdure crude ma condite con acidi come l’aceto o il limone.
La molecola della clorofilla è abbastanza solubile nei grassi, mentre non si scioglie affatto in acqua (altrimenti dopo un temporale gli alberi diventerebbero giallini…).
Se quindi si cuociono le verdure in oli o grassi, come capita con la frittura, parte della clorofilla contenuta nei vegetali passerà nel medium di cottura, abbandonando le cellule che pertanto un po’ scoloriranno, al di là delle modifiche di colore già viste a causa della formazione delle fofitine. In questo caso si tratta di una vera sottrazione di materiale, più che di una reazione chimica che porta a sostanze di colore diverso.
L’imbrunimento o l’ingiallimento del colore verde dei vegetali con la cottura non avviene con tutti i vegetali: nel caso dei cetriolini, per esempio, dopo la cottura il colore verde si schiarisce e diventa verdognolo o anche giallo chiaro, tipo il colore delle olive fresche.
Una volta, in campagna, i cetriolini da conservare venivano cotti in grandi calderoni di rame. I contadini non lo sapevano ma facevano avvenire in quei pentoloni reazioni di sostituzione chimica molto interessanti (e anche abbastanza pericolose!).
Il rame delle pentole, infatti, con il calore della bollitura, prendeva il posto de magnesio della clorofilla e il composto che ne risultava mostrava un bellissimo color verde, più brillante di quello di partenza.
Peccato che invece dell’innocuo magnesio al centro della molecola ci fosse ora un atomo di rame, che presenta una certa tossicità!
I cetriolini erano certamente più appetibili ma finiva che uno assieme a loro ingurgitava anche un po’ di pentola di rame (velenosa).
Oggi ovviamente questa cottura dei cetriolini nelle pentole di rame per migliorarne il colore non è più permessa (almeno a livello industriale) e dunque non la pratica quasi più nessuno ma questo esempio di storia delle preparazioni alimentari suggerisce che in ogni caso quando si cuoce qualcosa è meglio usare pentole di acciaio inossidabile, di ceramica, di ferro smaltato o anche più moderne pentole di teflon ma non pentole di rame. Quelle mettiamole in bella mostra appese al muro…
Oltre alla clorofilla, i vegetali contengono diverse altre sostanze colorate e coloranti.
Fra queste ci sono i carotenoidi, dal colore che va dal giallo al rosso e i flavonoidi il cui nome deriva dal latino “flavus” ovvero “biondo” ma il cui colore, in realtà, dipende dall’acidità del mezzo in cui si trovano e così possono avere colori dal giallino al rosso o all’azzurro e al violetto (in questo caso sarebbe meglio chiamarli antocianine, che sono una sottoclasse dei flavonoidi).
I flavonoidi sono responsabili dei colori di molti fiori. Fra i flavonoidi vanno citate le antoxantine, che invece hanno un colore giallo, anche questo tipico di molti fiori.
Queste sostanze colorate e coloranti, con la cottura perdono in genere colore e quindi i cibi che le contengono, una volta cotti, perdono il loro colore originario. I carotenoidi, come le clorofille, sono inoltre ben solubili nei grassi e quindi la frittura, per esempio, li “estrae” abbastanza agevolmente dai vegetali che così scolorano ancora più decisamente (passando la loro colorazione giallina all’olio).
Insomma la cottura potrebbe essere definita un nemico dei colori dei vegetali perché li rende più pallidi.
Per fortuna in bocca non abbiamo occhi…. Un altro classico esempio di cambiamento di colore con la cottura ha a che fare con i crostacei.
Tutti sanno che questi animali, che in genere sono grigiastri da crudi, con la cottura in acqua bollente, diventano rossi. Responsabile di questo “miracolo” è, come sempre la chimica, ovvero i cambiamenti di composizione e/o di struttura che le molecole colorate o i loro complessi con proteine e altri composti, subiscono durante la cottura.
Le sostanze presenti nei gusci dei crostacei sono genericamente definite crustacianine. Contengono sia proteine che coloranti veri e propri, le astaxantine. Il calore, come ormai abbiamo imparato, denatura le proteine e dunque altera la struttura anche di queste grandi molecole che contengono anche proteine. Il risultato del cambiamento di struttura si vede a occhio, con il cambio di colore, che passa da un grigio spento a un rosso decisamente vivace.
Anche la disidratazione, conseguente alla cottura, influisce sul colore di questi complessi fra proteine e coloranti e alla fine ne influenza il colore finale. La produzione di queste molecole composte da un colorante attaccato a una proteina per i crostacei è davvero una strategia vincente.
Sott’acqua, infatti, le proteine si sistemano attorno ai gruppi cromofori (così i chimici chiamano i gruppi chimici che causano il colore di una sostanza) in modo tale che il colore risultante sia un bel blu profondo, ovvero qualcosa di molto simile alla colorazione del fondale marino o un pallido grigio sabbia, adattissimo a non farsi notare su un fondo sabbioso, offrendo così un’abile mimetizzazione a questi animali che si muovono sul fondo.
Che poi queste sostanze diventino rosse una volta cotte, per disidratazione e per denaturazione proteica, beh, questo i crostacei non lo sanno e non ne hanno certo tenuto conto!
Le astaxantine hanno un discreto interesse commerciale perché i chimici stanno cercando di utilizzare questi composti “naturali” al posto di coloranti artificiali o di sintesi che potrebbero nascondere qualche problema di tossicità o che, semplicemente, fanno paura a un pubblico inesperto o eccessivamente sensibile alle tante fesserie che nascono (e non muoiono) sul web.
Legando opportunamente queste sostanze a particolari proteine animali o vegetali oppure a sostanze diverse, si sta cercando di ottenere una nuova classe di coloranti , che vanno dall’azzurro scuro al rosso acceso e che cambiano colore con la cottura, che potrebbero essere usati come coloranti per alimenti.
Un loro utilizzo molto interessante potrebbe essere quello di avvertire con un repentino cambiamento di colore quando un certo alimento è cotto a puntino!
Un altro tipico e drastico cambiamento di colore causato dalla cottura è quello della carne, che quando è cruda appare rossa e da cotta diventa grigia.
È facile cadere nell’errore che il colore della carne fresca sia dovuto all’emoglobina, la molecola rossa del sangue. In realtà non è così perché anche carni a cui sia stato tolto il sangue restano rosse.
Responsabile del colore rosso della carne fresca è infatti un’altra proteina, in realtà molto simile all’emoglobina, chiamata mioglobina.
L’emoglobina, presente nel sangue, è la proteina che, con il suo atomo di ferro centrale legato da diversi gruppi molto complicati, cattura l’ossigeno direttamente nei polmoni pieni d’aria.
Se lo tiene ben legato e poi lo rilascia all’interno delle singole cellule, dove esso viene utilizzato per la respirazione cellulare.
Questo è il motivo per cui il sangue ricco di ossigeno, quello arterioso, ha un bel colore rosso vivo mentre il sangue venoso, che ha perso ossigeno dopo essere passato per le cellule e che sta tornando al cuore e ai polmoni per ricominciare il suo ciclo di trasporto, ha un colore tendente all’azzurro.
La mioglobina, invece, pur legando l’ossigeno con un meccanismo simile –anche lei ha un atomo di ferro al centro di una struttura ancora abbastanza complessa ma comunque diversa da quella dell’emoglobina- si trova invece nei tessuti muscolari, dove fa da riserva strategica di ossigeno.
Le cellule muscolari, infatti, necessitano di parecchio ossigeno per funzionare ed è bene che abbiano una loro “scorta” supplementare oltre a quella che arriva continuamente con il sangue, da utilizzare in caso di sforzi improvvisi.
Anche la mioglobina è rossa come l’emoglobina ma è lei la vera responsabile del colore rosso della carne fresca.
Cuocendo, la mioglobina denatura, perde cioè la sua struttura più esterna (quella dovuta ai vari attorcigliamenti delle catene proteiche) e così facendo perde anche il suo bel colore rosso vivo, diventando grigia.
Poiché la denaturazione proteica non avviene solo con la cottura ma anche con un tempo sufficiente dopo che l’animale è morto, ecco che così gli animali sanno se la carne di un animale morto è fresca (= carne rossa), ovvero la sua morte è recente oppure risale a qualche giorno prima (= carne grigiastra).
Anche noi possiamo capire se la fettina che stiamo cocendo in padella è cotta oppure è meglio aspettare ancora qualche minuto osservandone il colore: tutti sanno che un pezzo di carne se dentro è rosso vuol dire che non è ancora cotto.
Vedremo che anche altri sistemi di cottura senza il calore, come per esempio la salatura o trattamenti con acidi deboli (il limone è un ottimo modo per “cuocere” fettine molto sottili di carne) denaturano le proteine e fra queste anche la mioglobina che infatti, anche con questi sistemi “a freddo”, diventa grigia.
Anche l’emoglobina cuocendo, diventa grigia, cosa che si può facilmente osservare quando dalla fettina che cuoce in pentola, fuoriesce un po’ di sangue rosso: appena arriva in contatto con il fondo caldo della pentola il sangue si rapprende e muta colore, entrambi effetti della denaturazione della proteina.