Con che olio conviene friggere? È una domanda che tantissimi pongono ai cosiddetti “specialisti” e ogni famiglia ha una sua teoria, basata su idee, convinzioni ma soprattutto sulla tradizione familiare.
Vediamo di fare un po’ di chiarezza. Prima però bisogna capire che cosa sono gli oli e quali loro caratteristiche influenzano il processo di cottura ad alta temperatura.
Cominciamo a vedere cosa è un olio o un grasso. Chimicamente si definiscono trigliceridi, ovvero molecole formate da una parte di glicerina e da tre parti di acidi grassi. Immaginatevi una forchetta a tre punte e togliete il manico: ecco questa è, davvero grosso modo, la forma dei trigliceridi, una parte un po’ tozza che lega il tutto (la glicerina) e tre punte (gli acidi grassi che non è detto abbiano tutti la stessa lunghezza).
La glicerina è una sostanza oleosa, incolore, liquida a temperatura ambiente mentre di acidi grassi ce ne sono tantissimi e i loro nomi in genere ricordano da dove provengono: acido oleico, acido linoleico, acido palmitico, acido stearico, acido caprilico… e così via.
Su internet, se digitate su qualche motore di ricerca “elenco acidi grassi”, vi propineranno una quantità incredibile di tabelle e se scegliete un sito serio, magari di qualche università e non di qualche simpatica signora che consiglia ricette, vi potrete fare un’idea abbastanza precisa di quanti siano, di come sono fatti e delle loro principali caratteristiche.
In genere gli acidi grassi hanno forma di “catenelle” di atomi di carbonio (da 4 a oltre 30) e una loro celeberrima suddivisione è quella fra “saturi” e “insaturi”.
Nei primi gli atomi di carbonio sono legati fra loro tutti allo stesso modo, con un solo legame e hanno una forma più “dritta”.
Nei secondi invece fra uno o più coppie di atomi di carbonio ci sono dei legami doppi che dà alla “catenella” una forma distorta. Questo accade perché il doppio legame fa storcere la direzione della “catenella” appena dopo il doppio legame di un angolo di circa 120 gradi e quindi la forma finale della “catenella” risulta più o meno spezzata, a seconda di quanti doppi legami ci sono.
Quelli con un solo doppio legame si chiamano mono insaturi (come l’acido oleico, per esempio) e quelli con più doppi legami poli insaturi (come l’acido linoleico).
Da un punto delle caratteristiche dell’olio, questa storia della forma non è di poco conto perché ha direttamente a che fare con lo stato fisico dell’acido grasso: più le catenelle sono dritte e più facilmente si impacchettano fra di loro e più facilmente quindi possono solidificare.
Al contrario, se la loro forma spaziale è complessa, come nel caso dei mono insaturi o, ancora peggio, dei poli insaturi, essi si impacchettano male fra di loro in cristalli ordinati e dunque restano liquidi a temperature più basse.
In conclusione i grassi ricchi di acidi grassi saturi (ricordatevi che ogni singolo grasso –o trigliceride- contiene tre acidi grassi) solidificano più facilmente degli acidi grassi insaturi.
Così per esempio i grassi ricchi di acido stearico o di acido palmitico sono in genere solidi a temperatura ambiente, come il burro o l’olio di palma che contengono molto acido palmitico.
Al contrario i grassi insaturi (o meglio i grassi ricchi di acidi grassi insaturi) solidificano con maggiore difficoltà e così a temperatura ambiente questi grassi ricchi di acidi grassi insaturi restano liquidi, come capita all’olio d’oliva, ricco di acido oleico (mono insaturo) o a molti oli di semi, ricchi di acidi grassi poli insaturi, come l’acido linoleico o altri.
Per semplicità i trigliceridi liquidi a temperatura ambiente sono definiti oli, mentre quelli solidi si chiamano grassi. I primi avranno dunque una maggioranza di acidi grassi insaturi mentre i secondi saranno composti da importanti percentuali di acidi grassi saturi.
Questa storia ha la sua importanza durante la frittura. Da un punto di vista nutrizionale non si deve dimenticare che gli acidi grassi saturi (o meglio i grassi o trigliceridi che ne contengono un’alta percentuale) sono più temibili perché portano più facilmente alla formazione del colesterolo cattivo, quello che aderisce alle pareti vascolari e crea problemi cardiocircolatori.
E questo è un effetto diretto della forma e della capacità di restare liquidi a basse temperature. Ai più attenti non sarà sfuggito un punto centrale, importantissimo per gli aspetti nutrizionali di queste sostanze e che cioè in un trigliceride non è affatto detto (e infatti non succede quasi mai) che ci siano tre acidi grassi uguali fra di loro.
Alla “forchetta senza manico” della glicerina si possono attaccare anche tre acidi grassi diversi o due uguali e uno diverso, con una possibilità di variazione praticamente infinita.
Ecco perché caratteristiche e sapore di un olio di oliva, formato da trigliceridi con un’alta percentuale di acido oleico, sono differenti dall’olio di girasole o da quello di vinaccioli e così via.
Mediamente la loro composizione acidica, cioè il tipo e la percentuale di acidi grassi che contengono sarà diversa.
Così succede (e questo viene sistematicamente ignorato dai troppi laureati alla Google University), che nei trigliceridi dell’olio di oliva ci sia sì l’acido oleico (e ci mancherebbe!) ma con una percentuale che oscilla sul 50%, mentre fra gli altri acidi grassi possiamo trovare per esempio l’odiatissimo (e chissà perché) acido palmitico che invece nell’olio di palma ma anche nel normale burro vaccino fa la parte del leone.
Insomma, le cose non sono così semplici e l’olio di oliva non è fatto tutto e solo di acido oleico (insaturo) e l’olio di palma non è fatto solo di acido palmitico (saturo)… Insomma, come spesso capita, la chimica, la scienza della materia, è più sfumata di quanto converrebbe a chi vorrebbe un partito degli oli insaturi (i buoni) che sfida il partito degli acidi saturi (i cattivi). Le cose, purtroppo, sono un po’ più complesse (e belle).
Tutto dipende dal rapporto, nello stesso trigliceride, di acidi grassi saturi e acidi grassi insaturi.
Ma non basta perché le cose sono ancora più complicate (e belle) perché non soltanto un singolo trigliceride non è fatto da tre acidi grassi uguali ma la sua composizione, cioè il rapporto fra i singoli acidi grassi, viene decisa dalla pianta (nel caso degli oli vegetali) o dall’animale (nel caso dei grassi di origine animale, come il burro o lo strutto) in funzione di tantissimi fattori ambientali variabili nel tempo.
In un particolare olio di oliva, per esempio, il contenuto di acido oleico dipende dal tipo di clima di quell’anno, dal tipo di concime utilizzato, dalla piovosità, dalla posizione del terreno (pianura, colina, ventoso, caldo, umido…), dalle modalità e dal periodo del raccolto e così via. Insomma per buona parte la composizione acidica dipende dall’agricoltura e dal clima di quell’anno particolare nel quale è stato fatto il raccolto.
Non esistono così due oli di oliva o due panetti di burro che abbiano “esattamente” la stessa composizione acidica e, soprattutto, non esistono oli “buoni” e oli “cattivi” in senso assoluto cosicché possano formarsi i soliti due partiti in lotta che tanto piacciono al pubblico non informato per continuare a litigare tanto per litigare.
Se prendiamo in esame l’olio d’oliva, per esempio, troviamo che i suoi trigliceridi non soltanto non sono fatti tutti da acido oleico insaturo, anche se prevarrà l’acido oleico ma ci saranno anche l’acido stearico, l’acido palmitico, il linoleico e il linolenico e altri.
E la loro presenza percentuale dipenderà da tantissimi fattori di tipo agricolo. Insomma ogni bottiglia di olio di oliva (se vergine o extra vergine da questo punto di vista è ininfluente) avrà la sua particolare ripartizione acidica.
L’olio di oliva è più ricco di acido oleico dell’olio di palma, che invece sarà più ricco di acido palmitico, ma non è che nell’olio di oliva non ci sia acido palmitico, ce n’è soltanto di meno…
L’olio di palma d’altra parte contiene parecchio acido palmitico, che è un acido grasso saturo e che quindi tende a essere solido a temperatura ambiente, laddove l’olio di oliva è invece molto più ricco di acido oleico, che è insaturo, e per questo l’olio di oliva è liquido a temperatura ambiente.
Ma sia l’uno che l’altro contengono sia acido oleico che acido palmitico. Il mondo è a colori, non in bianco e nero… Occorre tenere presente che gli agricoltori non stanno lì solo a raccogliere olive o girasoli ma fanno in modo che i prodotti che devono vendere incontrino i gusti dei consumatori e quindi, con incroci tradizionali o con altre tecniche più moderne viste da molti come fumo negli occhi, cercano di fare in modo che in un certo olio cresca il contenuto di un certo acido grasso, per esempio l’oleico.