Nel capitolo sulla cottura delle carni arrosto, abbiamo detto che la carne non è solo proteine ma anche altro: grassi, tendini, nervi, vene eccetera. Vediamo più a fondo come stanno le cose per poi capire come funziona la cottura della carne intesa come un tutt’uno e come sfruttarla al meglio per avere in definitiva un prodotto alimentare migliore di quello crudo sotto vari punti di vista.
Ogni singola fibra muscolare e anche il muscolo nel suo complesso è avvolta in una specie di guaina, una membrana, di tessuto connettivo che, alla fine del muscolo, si riunisce in un unico cordone spesso e molto resistente che lega il muscolo all’osso.
I medici chiamano queste strutture "tendini". Senza questo tipo di rivestimento i muscoli non sarebbero capaci di stare assieme né, tantomeno, di attaccarsi all’osso e quindi i muscoli stessi non avrebbero senso, visto che essi, tendendosi e rilassandosi, servono proprio a far muovere le ossa e con esse il resto del corpo.
Questo tessuto connettivo è fatto essenzialmente di tre proteine: l’elastina, la reticulina e il collagene.
Con la crescita, passando dall’età giovane a quella adulta e anche con l’esercizio fisico, queste sostanze si legano sempre più fortemente le une alle altre e al muscolo nel suo insieme.
Questo causa l’indurimento delle carni degli animali adulti o sottoposti a molto esercizio fisico, come lunghe arrampicate su colline e monti.
Questa è la ragione principale per cui la carne di vitello è più tenera (e costosa) di quella di un manzo adulto. Questa è anche la ragione per cui i pascoli di territori pianeggianti, come per esempio l’Argentina o le grandi pianure degli Stati Uniti, producono bovini dalle carni assai pregiate laddove la carne di bovini allevati su pascoli montani risulta in genere più dura.
In questi casi, infatti, lo sforzo fisico cui gli animali sono costantemente sottoposti per nutrirsi, induce un aumento di tessuto connettivo, più duro e difficile da masticare.
Con la cottura, questi tessuti connettivi sono sottoposti a una serie di cambiamenti strutturali molto interessanti che vale la pena conoscere per meglio utilizzare i vari metodi di cottura.
Per esempio la proteina del collagene, dopo una iniziale contrazione, tende a gelatinizzare (la gelatina assorbe una grande quantità di acqua nella quale in parte si scioglie) e quindi letteralmente diventa un materiale molto morbido, di consistenza, appunto, gelatinoso.
Nulla di simile esiste nella carne cruda. Con la cottura almeno una parte del tessuto connettivo diventa molto morbida e questo facilita la masticazione e l’assorbimento dei nutrienti ma rende anche più piacevole il pasto.
Le altre due proteine che compongono il tessuto connettivo, la reticulina e l’elastina, invece, non gelatinizzano e anche cotte rendono difficile la masticazione della carne.
Pertanto il rapporto fra queste tre proteine nel tessuto connettivo diventa allora di primaria importanza perché le carni siano morbide e gustose! Più elastina è presente nel tessuto connettivo dell’animale, più tenera sarà la sua carne una volta cotta.
In generale, comunque, le carni con minore percentuale di tessuto connettivo, come le parti posteriori, per esempio i lombi, risultano più morbide alla masticazione e quindi di maggior valore commerciale.
Come detto, con la cottura il collagene gelatinizza, quindi vale la pena di studiare meglio questo processo per poterlo sfruttare al massimo per rendere le nostre carni più morbide possibile. Il collagene comincia a sciogliersi nell’acqua di cottura attorno ai 60 °C ma, cosa importantissima in molte ricette tradizionali per cuocere la carne, per fare questo necessita di molto tempo.
I lunghi tempi di cottura e le relativamente basse temperature (“a fuoco lento” dicono i cuochi) di alcuni tagli di carne necessari appunto per permettere la completa gelatinizzazione del collagene contenuto nei tessuti connettivi.
Al contrario, elastina e reticulina tendono, con la cottura, ad accorciarsi. Per far questo, e per fortunata, richiedono tuttavia temperature più alte ma anche tempi molto più brevi. Insomma, una fiamma troppo vivace, causerà il restringimento delle parti connettive ricche di elastina e reticulina.
In conclusione, se con la cottura vogliamo ammorbidire la carne, non dobbiamo assolutamente cuocerla per poco tempo ad alta temperatura ma piuttosto lasciarla a temperature non troppo alte per molto tempo! In questo modo il collagene diventerà morbidissimo e elastina e reticulina non si accorceranno troppo.
Sarà dunque l’equilibrio sapiente fra tempi di cottura e temperature a fare di voi un buon cuoco di carni, specialmente se molto ricche di tessuto connettivo: occorre mettersi tranquilli con lunghe cotture e con temperature che non superino i 60 – 65 °C.
Inoltre, quando l’elastina e la reticulina si accorciano a causa della cottura, esse strizzano le cellule muscolari della carne e fanno fuoriuscire l’acqua ricca di sali e altri nutrienti contenuta al loro interno.
Quando questo avviene si osserva un brusco aumento dell’acqua di cottura senza che se ne sia aggiunta dall’esterno: è il tipico “restringimento” delle fettine che si arrotolano su se stesse in modo confuso poiché i cordoni dei tendini si accorciano.
Il risultato è un pezzo di carne cotto male, duro da masticare e con cellule muscolari che hanno perso acqua e sali interni e quindi anche sapore.
Chissà perché per anni si è detto che le fettine si restringono per colpa degli ormoni che vengono somministrati ai poveri bovini ma non c’entra nulla, è un fenomeno legato al fatto che queste due proteine contenute nei legamenti denaturano con una certa vivacità per effetto di un calore eccessivo.
Il segreto degli stufati delle nonne era tutto qui: loro lavoravano come provetti chimici, giocando con la temperatura (bassa) ed i tempi (lunghi o lunghissimi) di cottura per promuovere la gelatificazione del collagene ed ostacolare al massimo l'accorciamento dell’elastina e della reticulina.
L’avreste mai detto? In generale la cottura modifica la struttura fisica dei cibi, rendendoli più teneri come abbiamo appena visto ma in altri casi può renderli più duri o comunque alterarne la struttura e la morbidezza.
Vediamo di andare appena più a fondo di questo fenomeno, considerando che per ogni cibo e per ogni forma di cottura occorrerebbe fare un discorso a parte e che quindi è difficile generalizzare.
La denaturazione delle proteine, che abbiamo già esaminato, è certamente una delle modifiche più serie nella struttura di un cibo che viene indotta dalla cottura.
Abbiamo parlato della carne ma anche delle uova, dove la parte proteica (il bianco) diventa tutta un’altra cosa con la cottura. In questo caso le due proteine coinvolte nel processo di denaturazione sono l’ovoalbumina e l’ovotransferrina.
Quest’ultima è la proteina che prima denatura durante la cottura (ovvero denatura a temperaura più bassa).
Man mano che le strutture più complesse vengono distrutte dal calore, essa diventa in grado di formare nuovi legami con l’altra proteina, l’ovoalbumina.
A un certo punto anche quest’ultima comincia a denaturare e quindi i legami fra le due proteine diventano ancora più facili e si formano reti tridimensionali che, da un punto di vista della struttura macroscopica della materia comportano il passaggio da un bianco d’uovo crudo, semi liquido e appiccicoso a un bianco d’uovo cotto, semi solido e compatto.