La carne cruda di animali appena uccisi è un tipico ingrediente della dieta delle scimmie arboricole da cui discendiamo.
Molte scimmie alternano infatti nelle loro diete una grande quantità di frutti e bacche e di fogliame ma anche una modesta quantità di carne fresca, ovviamente cruda, di piccoli animali come piccoli uccelli, pipistrelli, qualche lucertola e, a volte, anche qualche… collega antipatico.
Anche l’uomo è onnivoro e quindi mangia carne (a parte limitazioni dovute a condizionamenti religiosi o culturali) ma soltanto lui fra tutti gli abitanti della Terra conosce la cottura del cibo e ne ha fatto un’arte oltre che una cultura che viene tramandata di famiglia in famiglia, di etnia in etnia, di regione in regione.
Ma cosa avviene realmente durante la cottura dei cibi? Appare ovvio che non si tratta soltanto di un riscaldamento per così dire sanitizzante, perché i cibi cotti sono diversi per sapore, aroma, consistenza e potere nutrizionale da quelli crudi. In questa sezione del sito analizziamo, nei vari post sul cibo, i cambiamenti che avvengono con la cottura e con i vari tipi di cottura, evidenziandone i grandi benefici nutrizionali ma esaminando criticamente anche qualche caso in cui è senz'altro meglio mangiare cibi crudi.
Uno dei cibi nei quali la cottura comporta i maggiori cambiamenti composizionali, strutturali, di masticabilità, di assorbimento ma anche di aroma e sapore è senza dubbio la carne.
Come sa chiunque abbia tentato in vita sua di allestire un barbecue, non è difficile trasformare una bistecca cruda, dura come cuoio e immangiabile in una saporita, succulenta e tenera porzione di carne alla griglia.
Ma sa anche che basta un niente per trasformare quel capolavoro in un ammasso nero di carbone croccante che sa di fumo e che, come vedremo, anche molto pericoloso!
Innanzitutto per fare un buon lavoro occorre evitare che la carne sia a diretto contatto con la fiamma o con i carboni roventi e i barbecue sono fatti apposta per tenere la carne a una certa distanza da queste fonti di calore che si trovano a temperature davvero molto alte: un pezzo di legno che brucia raggiunge facilmente i 400 °C e il carbone rovente li supera senza problema…
In questo modo la carne è sottoposta a un riscaldamento meno violento –vedremo che una temperatura troppo alta porta alla formazione di composti pericolosi- e più regolare.
Da un punto di vista scientifico, il calore raggiunge la carne in due modi: da una parte sotto forma di radiazione infrarossa e dall’altra sotto forma di gas e vapori roventi provenienti dal materiale che brucia (ossido di carbonio, anidride carbonica e vapor d’acqua assente ovviamente se invece del legno si usa la carbonella).
Ma come agisce questo calore sulla carne?
Come sanno tutti, la carne è fatta di diversi componenti: ci sono i grassi, c’è dell’acqua, molta acqua, ci sono ovviamente le proteine e le vitamine e diversi altri sali minerali, ma ci sono anche tendini, nervi, vene ed arterie, oltre naturalmente alle ossa che non si mangiano, anche se al loro interno ci sono sostanze grasse molto nutrienti, appetitose che gli antichi credevano contenessero lo spirito vitale dell’animale ucciso.
Ciascuno di questi componenti si comporta in un modo particolare sottoposto al calore della cottura.
Proviamo a dare un’occhiata a questi fenomeni, cercando ovviamente di non carbonizzare la nostra bistecca!
Cominciamo a vedere cosa fa la cottura ai grassi, la porzione più energetica della carne, la più ambita dai nostri antenati cacciatori e la più preziosa per gli animali carnivori, che da essa ricavano la maggior parte dell’energia di cui hanno bisogno.
I grassi sono il primo componente della carne a risentire del calore perché, letteralmente, fondono!
Essi infatti passano dallo stato solido a quello liquido a temperature abbastanza contenute, come sa chiunque abbia lasciato al sole un pezzo di burro o di lardo.
E così, appena la carne comincia a scaldarsi, il suo grasso liquefa e comincia a colare, facendosi strada fra le fibre muscolari e gli altri componenti che, nel frattempo cominciano a risentire dell’aumento di temperatura ma in maniera meno drastica e, almeno per ora, non subiscono cambi strutturali così decisi.
Appena il grasso cola oltre il pezzo di carne, inevitabilmente cade sulle braci ardenti e allora, essendo combustibile (un tempo le candele erano fatte di lardo), prende fuoco o brucia senza fiamma e in parte vaporizza e reagisce immediatamente con l’ossigeno dell’aria.
Naturalmente non tutto il grasso contenuto nella carne cola fuori e finisce in questo modo (attenti alle fiammate perché possono bruciacchiare anche il resto della carne!), anzi la maggior parte del grasso resta, anche se in parte liquefatto, all’interno della carne.
Ma appena la temperatura raggiunge e supera quella che i chimici chiamano “punto di fumo”, ecco che i grassi, anche quelli dentro la carne, cominciano a reagire con l’ossigeno dell’aria e subiscono reazioni chimiche importanti, dando origine a tutta una serie di nuovi composti che non c’erano nella carne cruda.
Si formano anche molti composti gassosi che, assieme alle goccioline di grasso che volano via assieme al vapor d’acqua (avevamo detto che la carne è piena d’acqua), formano quella “cosa” bruna che si chiama fumo, che, da che mondo è mondo, accompagna sempre l’arrosto.
Molte sostanze contenute nel fumo provengono direttamente dal combustibile, specie se si è usato un legno resinoso, e impregnano la carne che così si arricchisce di sostanze esterne ad essa. Le sostanze contenute nel fumo che si origina dalle reazioni di combustione del grasso, come sa chiunque abbia fatto un arrosto alle braci, in parte si disperdono nell’aria e in parte impregnano i tessuti della carne ancora in cottura.
Il grasso era ritenuto dagli antichi la sede dell’energia dell’uomo, del suo spirito vitale e il fumo era anche il messaggero del sacrificio agli Déi che abitavano il cielo: ecco perché gli animali sacrificati venivano in genere arrostiti su enormi barbecue pubblici e non, per esempio, bolliti: occorreva produrre il fumo che si sarebbe sollevato fino a raggiungere gli Déi.
“L’uomo è ombra e fumo”, diceva Eschilo e quindi non sottovalutate troppo il fumo saporito che si leva dal vostro arrosto!
Ma troppo fumo indica che le cose non vanno bene e in quel caso non ci vuole un grande chimico e nemmeno un buon cuoco per capire che è il caso di abbassare la temperatura, allontanando la carne dalle braci e magari gettandoci sopra un po’ di cenere per rallentarne la combustione, sfavorendo il contatto con l’aria.
Questo perché il fumo non è soltanto fastidioso per i vostri vicini ma anche perché fra le sostanze che lo compongono c’è l’acroleina, un composto che si origina dalla combustione dei grassi a temperatura eccessiva.
L’acroleina è una sostanza dall’odore acre, da cui il nome, che è cancerogena e quindi ne va evitata la formazione ad ogni costo e, se si forma, allora almeno non respiriamola sniffando il fumo saporito degli arrosti!
Ma soprattutto non dovremmo mangiare la carne che arrostendo è stata avvolta nel suo stesso fumo per troppo tempo e che così finisce per impregnarsi di questa sostanza. L’acroleina, infatti, è molto ben solubile nei grassi e così essa va a finire proprio in quella parte grassa disciolta nella carne che sta arrostendo.
Un ottimo indicatore per capire quando è il momento per abbassare la temperatura per non promuovere la sintesi dell’acroleina è osservare quando il fumo diventa eccessivo: allora – e ancor meglio un attimo prima- di abbassare la temperatura e allontanare la carne dalla fonte di calore.
Oltre a questa spiacevole sintesi dell’acroleina, quando la temperatura diventa eccessiva, i composti organici presenti nella carne vanno incontro a trasformazioni davvero drammatiche e si possono formare composti pericolosi. Oltre una certa temperatura, infatti, i composti organici che non hanno a disposizione aria sufficiente per bruciare completamente, carbonizzano e danno origine a quella crosta nera che molti trovano gustosa ma che in realtà contiene una serie di composti di sicuro cancerogeni.
Ce ne occuperemo in dettaglio in qualche altro post ma è bene fin da subito sapere che è meglio, molto meglio, non bruciacchiare la carne e non cuocerla avvolta nelle brune spirali del suo stesso fumo.
Ecco perché chi è un esperto di cottura alla brace non brucia mai la carne ma si limita a cuocerla come si deve, senza che si formino né fumo eccessivo né soprattutto quelle crosticine nere così pericolose sulla sua superficie. Infine una esposizione a calore eccessivo per troppo tempo fa indurire la carne, che perde la sua tenerezza e quindi fa venir meno uno dei motivi per cui la stiamo cuocendo!
Ma queste sono cose che sanno tutti: c’è una bella differenza fra un hamburger ben cotto ma non bruciato e un pezzo di carbone nero che sa di fumo…