Mangiare è la strategia animale per disporre contemporaneamente di materiale da costruzione e di energia.
I vegetali seguono invece la strada della sintesi clorofilliana, un processo biochimico chiaro soltanto nelle sue linee generali e che ci riserva ancora molte sorprese.
Con essa catturano direttamente l’energia del Sole, un fotone alla volta.
Con questa luce, un po’ di umidità risucchiata presa dal terreno e l’anidride carbonica dall’aria, le cellule vegetali riescono a produrre molecole di glucosio e da queste tutte le altre che servono, aiutandosi con l’assorbimento dal terreno di qualche altro micronutriente essenziale. Insomma non devono mangiare e con l’energia del sole fano tutto.
Invece noi con luce, acqua e aria non andiamo molto lontano, dobbiamo assolutamente mangiare per tirar fuori energia e materiali con cui auto assemblarci.
Anche gli uomini mangiano come tutti gli animali ma per noi questa attività di ricarica è probabilmente più piacevole di quella di un cloroplasto che succhia acqua, anidride carbonica e un po’ di fotoni o di un bue selvatico costretto a trangugiare velocemente qualcosa per non finire come fonte energetica e materiale di un carnivoro.
Il problema è che non sempre basta ingoiare quello che troviamo attorno e che ci sembra appetitoso.
I meccanismi per estrarre energia e materiale da costruzione dagli alimenti non sono affatto banali. Occorre innanzitutto distruggere le “costruzioni” biologiche mangiate rompendo i loro legami chimici e estraendone un po' di energia.
Quindi occorre i-assemblarli in nuove strutture, le nostre, che in genere sono un bel po' differenti da quelle di partenza.
Altrimenti avremmo la forma di cavoli o spinaci o di qualche pollo! In ogni caso questi meccanismi di distruzione, estrazione energetica e riassemblaggio richiedono energia.
E così scopriamo che per mangiare (o meglio per assorbire correttamente ciò che mangiamo) serve energia.
Esistiamo soltanto perché l'energia che ricaviamo dagli alimenti è maggiore di quella che ci serve per digerirli! Più energia riusciamo quindi ad estrarre dagli alimenti a parità di quella che ci serve per utilizzarli, più la nostra strategia di sopravvivenza diventa conveniente.
Qui, come vedremo, entra in gioco la cottura. Purtroppo anche masticando a lungo, ingoiando ed usando tutti gli enzimi che la natura ci ha messo a disposizione nel tratto gastrointestinale, non riusciamo a catturare che una piccola parte dell’energia contenuta negli alimenti e così molta di essa ci resta inaccessibile.
Questo è il motivo per cui le scimmie da cui proveniamo, come la maggior parte degli animali, soprattutto erbivori, passano la maggior parte del loro tempo a cercare il cibo e a ingozzarsi.
La bassa resa digestiva dell'alimentazione primitiva è stato un problema molto serio sulla strada della nostra evoluzione.
Essa infatti lascia poco tempo libero, con le rare eccezioni di predatori al vertice della catena alimentare che tuttavia passano questo tempo “libero” un po' rimbambiti a digerire i loro pasti “pesanti” a base di dura carne ancora sanguinante con tutta la pelle, i tendini, i nervi, a volte anche peli e pellicce…
Tutto questo fa del ciclo alimentare un affare lento e pericoloso (almeno per chi ha da temere predatori) e che comunque richiede molto tempo. In queste condizioni di continuo affanno nel procurarsi e ingozzare cibo, è praticamente impossibile occuparsi di altre cose, incuriosirsi su come funziona il mondo, scoprire qualcosa di nuovo, insomma farsi una cultura da trasmettere alla discendenza.
Se avessimo dovuto pensare solo a mangiar, la civiltà umana non sarebbe ancora nata.
All’epoca avevamo a disposizione una quantità di energia insufficiente: fu certamente la prima e la più grave crisi energetica della nostra storia!
Per uscirne occorreva qualcosa di straordinario, che gli altri animali non conoscessero o che comunque non potevano usare in modo consapevole, una vera rivoluzione insomma.
Il problema da risolvere era di catturare dagli alimenti più energia per poterne mangiare meno, meno frequentemente (anzi continuamente) e potersi così dedicare a cose più interessanti correndo meno rischi.
Occorreva aumentare la resa, sia energetica che materiale, del processo nutritivo.
Il mito greco di Prometeo racconta che egli per liberare gli uomini dalla carenza energetica tipica dei selvaggi, si ribellò a suo padre Zeus rubandogli l fuoco che subito donò ai suoi prediletti umani.
Le conseguenze di questa ribellione furono la fine dell'animalità e l'inizio della civiltà umana.
Con il fuoco o, meglio, con il saper governare il fuoco, l'uomo entrò infatti in possesso di una fonte energetica enorme.
Con quell'energia poteva riscaldarsi, fare luce di notte, scacciare gli animali feroci e... cuocere i cibi. Forse nessuna altra innovazione tecnologica è stata altrettanto importante nella nostra storia.
In realtà il fuoco non fu un regalo (nessuno ci ha mai regalato niente) ma una successine di scoperte, forse ripetuta più volte e in più luoghi, ma di certo l’uomo alla fine imparò a governare il fuoco e da allora impose la sua impronta a tutto il resto.
Il fuoco, al di là dei miti, era una enorme e poco costosa forma di energia, sia termica che luminosa che soprattutto riuscì ad accrescere, e di parecchio, l’energia e la quantità di materiali ricavabili dal cibo disponibile.
La cottura degli alimenti è stata la scoperta che risolse seriamente il problema della bassa resa energetica degli alimenti crudi, gli unici disponibili per gli altri animali.
Mangiando alimenti cotti, “lavorati” cioè con il calore, si riesce infatti a catturare da essi molta più materia nelle forme “giuste” e quindi se ne può mangiare di meno e in meno tempo, liberando così questo tempo per altre attività, quelle che ci distinguono dagli altri animali.
La cottura è, in un certo senso, l'appalto energetico di buona parte del lavoro digestivo a una fonte esterna al nostro organismo. cuocere non è semplicemente scaldare gli alimenti ma qualcosa di molto più profondo e complesso, perché la cottura trasforma i cibi, li altera nella loro intima struttura, estraendo da essi sostanze per noi indispensabili in quantità molto superiori a quelle che sarebbero disponibili negli stessi cibi crudi.
Inoltre la cottura, almeno quella fatta come si deve, produce nuovi composti appetitosi che non erano presenti negli alimenti crudi di partenza, che rendono i cibi cotti non soltanto più assorbibili da un punto di vista composizionale ma anche più buoni.
Questo ha trasformato l’alimentazione da un punto di vista culturale, facendone non soltanto un rifornimento energetico e materiale ma anche un fattore di aggregazione sociale.
Dai primi fuochi attorno a cui venivano arrostite le carni di qualche piccolo animale ai tavoli delle nostre mense aziendali o a quelli dei migliori ristoranti, la cottura ha introdotto un elemento di enorme forza simbolica all’atto del nutrirsi, rendendo l’alimentazione uno dei pilastri dell’aggregazione sociale, senza cui, banalmente, non può esserci alcuna civiltà.